Whiplash: la recensione di Jam_4

A volte, la bontà di una pellicola è proporzionale al numero di domande che ti fa porre: e Whiplash me ne ha generate parecchie.

Lasciamo stare la bravura del cast, oscurata da un J.K. Simmons enorme nella parte di Fletcher, insegnante di musica violento e spaventoso, di una brutalità che a tratti ricorda la sua interpretazione in OZ; mettiamo da parte la storia, capace di regalare almeno un paio di momenti davvero inaspettati – cosa tutt’altro che banale, soprattutto in film con tematiche simili-. Whiplash è grandioso perchè prende a calci ogni concetto buonista che vi viene in mente: Andrew vuole essere IL batterista Jazz, e per raggiungere il suo scopo fa a meno degli amici, tratta a pesci in faccia i suoi familiari, lascia la ragazza perchè gli farebbe perdere tempo; Andrew è chiaro: preferisce morire solo ma esser ricordato come una leggenda.
Ed è per questo che agli abusi di Fletcher lui risponde con dedizione, allenamenti, con tutte le forze, buttando letteralmente il sangue. E contro ogni clichè, Fletcher è sì l’antagonista, i suoi mezzi orrendi; ma lo si può forse biasimare per la sua lotta contro la mediocrià? E il contraltare di un finale altrimenti classico, in cui scatta il riscatto per il nostro, é proprio Fletcher che, a dispetto della rabbia e della sconfitta, viene assalito dalla passione, quasi giubilo, per quello a cui sta assistendo: è nato un artista.

Andrew sarebbe sbocciato senza di lui? La dedizione e l’impegno costanti, abbandonando tutto il resto, sono l’unico modo per arrivare al successo; massima facilmente esportabile fuori dalla musica, meno facile avere una consapevolezza tale di dove si intede arrivare, e di ciò che è necessario lasciare per strada.

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