“L’universo è caotico, e voi ce lo mostrate… siete un uomo molto acuto Sig. Turner”. Film vittoriano, dickensiano m’ancor prima intriso del romanticismo ottocentesco stevensoniano: il caos è anzitutto nell’universo interiore di Turner, al contempo Jekyll e Hyde, e il suo naturalismo paesaggistico “dai cieli fiammeggianti”, sempre più informale sino al preimpressionismo, è una rappresentazione endopsichica del suo carattere bipolare. Leigh immerge il pittore e la sua storia, romanzata o meno, in una fin troppo lunga galleria dei suoi quadri esposti mediante gli scenari e la tavolozza cromatica del direttore della fotografia Pope. Di Turner in sé ci racconta la vita in modo episodico, allusivo e giust’appunto caotico, “a spizzichi e bocconi”, i suoi ultimi 25 anni con manciate di rinvii al suo passato traumatico e doloroso, non ce lo mostra mai all’opera bensì mentre vi si prepara disegnando bozzetti e schizzi preliminari. L’ho trovato non tanto appesantito dalle contraddizioni dell’io narrato che si riverberano nell’io narrante, quanto fastidiosamente anacronistico, narrativamente e visivamente: se il cinema del futuro dovesse partire da qui, forse staremmo ancora in trepidante attesa del dagherrotipo. Adorato dall’intera critica mondiale, 98% su RT, in sostanza un plebiscito, però sullo stesso sito la percentuale crolla al 60% d’apprezzamento da parte del pubblico. Forse una pellicola più per gl’addetti ai lavori, come l’anarcoidi discussioni di Turner alla Royal Academy of Arts.
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