Top Gun: Maverick: la recensione di Mauro Lanari

Ci aveva già provato Sly con la trilogia “The Expendables”, un successo economico ma non critico: una dozzina d’anni fa la sbornia dei recensori planetari era rivolt’alla crossmedializzazione (o globalizzazione) e stroncava com'”operazione nostalgia” ciò che si smarcava dal nuovo trend. Invece Bruckheimer torn’a produrre non sciocche serie tv ma un blockbuster, richiama nei loro ruoli di star cinematografiche attori svenduti alla fiction delle piattaforme streaming: Val Kilmer, Jennifer Connelly, Ed Harris. Non un capolavoro ma nemeno la caricatura d’un kolossal: per fortuna non è Bergman che gioc’a scacchi con la morte, ma è l’identico concetto adattato per le masse (“Il tempo è il vostro peggior nemico”). Ed è pure metacinematografico: la missione militare da compiere è fattibile solo downgradando l’armamentario e affidandosi alle capacità aggiuntive del fattore umano così d’aggirare la supertecnologia digitale settata per combattere qualcosa che sulla carta non dovrebb’esistere più. Ricorda lo storico perdere le guerre a causa d’un arsenale idoneo per le battaglie campali e non per la guerriglia. Imparata la lezione, superato il periodo di carestia, la vittoria è garantita.
Ps: Giusto per intenderci, del film di Tony Scott non ho memoria d’un solo fotogramma.

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