The Last Stand – L’ultima sfida: la recensione di Gabriele Ferrari

Tom Cruise. Mel Gibson. Sylvester Stallone. Liam Neeson. Bruce Willis. Ancora Sly, with a little help from his friends. E ora, per completare la foto di classe, Arnold Schwarzenegger, in un ruolo da protagonista a dieci anni da Terminator 3. The Last Stand – che considerando l’imminente The Tomb e pure il nuovo Conan di “last” ha davvero poco – è l’ultimo tassello di un quadro il cui soggetto è ormai chiarissimo: una celebrazione degli eroi action di un tempo, vista la colpevole assenza di eredi degni. Primo progetto americano del talento coreano Kim Ji-woon (Il buono, il matto, il cattivo, oltre all’horror Two Sisters e al thriller I Saw the Devil), The Last Stand è, almeno nelle intenzioni, un western moderno, rivisitazione in salsa FBI di Mezzogiorno di fuoco costruita in toto sul volto scolpito di Arnie. Nei fatti, invece, parliamo di un film frenato da grossolani errori di scrittura e di tono, oltre che dalla (ahinoi) inadeguatezza fisica di mr. Schwarzy. Per farla breve: si poteva fare di più.

La storia è di una semplicità disarmante, né ci si aspettava nulla di diverso: Schwarzenegger è Ray Owens, ex agente della narcotici ritiratosi a vita riparata come sceriffo della remota cittadina di Sommerton, Nevada. Eduardo Noriega (La spina del diavolo), invece, è Gabriel Cortez, «lo spacciatore più violento dai tempi di Pablo Escobar»; sfuggito dalle grinfie dell’FBI durante un trasferimento in un carcere di massima sicurezza, ha un solo obiettivo nella vita: raggiungere (oltrepassare) il confine con il Messico e riconquistare la libertà. La sua via di fuga è un ponte convenientemente edificato dai suoi uomini in un canyon a qualche chilometro da Las Vegas; per la precisione, indovinate?, proprio a Sommerton. Che per l’FBI è poco più che un ostacolo durante l’inseguimento a Cortez – che viaggia su una Corvette modificata insieme a una poliziotta (Genesis Rodriguez) presa in ostaggio durante la sua evasione –, ma per Owens è tutto: casa, posto di lavoro, luogo dove svernare in pace. Inevitabile che due forze della natura così opposte finiscano per scontrarsi e fare un bel botto.

O meglio, così doveva essere, nelle intenzioni; e d’altra parte affidare a un regista folle e crudele come Ji-woon un progetto rated-R poteva essere un’idea brillante e viatico per un instant classic del genere. E invece, sarà perché tra i personaggi abbondano spalle comiche come Johnny Knoxville e coppiette innamorate come quella composta da Jaimie Alexander e Rodrigo Santoro; sarà perché tutte le volte che l’azione coinvolge Schwarzy Ji-woon è costretto ad acrobazie e virtuosismi per nascondere le giunture scricchiolanti dell’ex governatore; sarà perché si sente forte il guinzaglio di Lorenzo di Bonaventura, produttore all’acqua di rose di saghe family-friendly come Transformers; sarà quello che volete, insomma, fatto sta che per essere un film di genere vietato ai minori The Last Stand è un prodotto mediocre e addomesticato, che punta più a strappare una risata che a caricare d’adrenalina gli spettatori. Le sparatorie cominciano e sono già finite. Le scene di tensione vengono spezzate da inserti farseschi e gag slapstick, che più che al capolavoro di Fred Zinnemann riportano alla mente quello che accadde mezz’ora dopo nella strepitosa parodia di Mel Brooks. E poi c’è il “problema” con Arnie: il suo vissuto, cinematografico e non, è talmente ricco di aneddoti e momenti memorabili che ogni sua battuta ha un retrogusto meta-cinematografico che diverte la prima volta («Come ti senti?»«Vecchio») e già dalla seconda comincia a stufare (si contano almeno tre battute sull’argomento “gente che emigra in America per lavorare”).

Il risultato intrattiene il giusto e ogni tanto annoia, nonostante qualche guizzo di classe di Ji-woon (in particolare ogni volta che riprende veicoli in movimento), una parata di volti da cinema incredibile (l’eterno cattivo Peter Stormare, Forest Whitaker detective dell’FBI, persino Harry Dean Stanton!) e l’innegabile gioia di vedere di nuovo Schwarzenegger in azione. Il problema è che si tratta di una gioia riservata a chi è cresciuto con i vari Commando, Predator e Terminator, più che alle giovani generazioni: pochi, troppo pochi (e lo dimostrano i risultati del box office americano), e forse troppo smaliziati per farsi ingannare da un prodotto riuscito solo a metà.

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Mi piace
Rivedere Schwarzy in azione è sempre un piacere. Quando toglie le mani dal freno, Kim Ji-woon dimostra tutto il suo talento.

Non mi piace
I toni da commedia farsesca che spezzano l’atmosfera. Schwarzy, nonostante l’affetto, è comunque invecchiato non benissimo.

Consigliato a chi
Ai nostalgici di un certo cinema anni Ottanta – abbastanza nostalgici da essere di bocca buona e non rimanere bloccati dalla mediocrità generale del film.

Voto: 3/5.

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