The Fighter: la recensione di Adriano Aiello

Tra gli applausi maggioritari e i moderati entusiasmi, c’è chi ha contestato a The Fighter di essere un film vecchio, con una morale trita e ritrita. Della serie tante chiacchiere, poche botte e il sogno americano a bussare sulla porta. Tradotto: drammone retorico, poco spettacolare. Certo l’epica di “The Irish”, Mickey Ward è talmente suggestiva che molti si sarebbero attesi di sbirciare almeno la leggendaria sfida con Arturo Gatti (anche se difficilmente si potrebbe fare di meglio che riguardarsi i veri incontri) ma The Fighter non è un film sulla boxe e sui successi di Ward. Almeno non strettamente. In questo senso è più vicino a Million Dollar Baby e in un certo modo a Rocky, che a Toro scatenato o ad Ali (e tanti altri film prima ancora) modelli quasi insormontabili, specie in termini di elaborazione stilistica. Ma della boxe, The Fighter recupera quell’esperienza sensoriale che sul grande schermo conquista sempre: gli odori della palestra, la violenza dei colpi, le grida dei tifosi, il sudore e le cicatrici degli atleti. Per il resto è semplicemente un film di attori, su una famiglia e su due fratelli, uno troppo ingombrante, drogato e sbruffone (il Dick Eklund con cui Christian Bale si è aggiudicato l’Oscar) per non sovrastare il talento silenzioso del più giovane Mickey. Una famiglia caotica, rissosa, disfunzionale che a volte inquieta e altre mette tenerezza e diverte, ma sempre generosa nel suo rincorrere il desiderio di riscatto sociale, che accende da sempre i cuori di chi ama le grandi storie al cinema.

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Mi piace
L’equilibrio e la delicatezza con cui viene tratteggiato il rapporto fraterno tra Mickey e Dick. La loro riconciliazione è una delle scene più tenere e sincere che si siano viste negli ultimi tempi. Melissa Leo, capace di dare vita ad un personaggio ricco, complesso e a ratti sgradevole con una prova sopraffina. Oscar sacrosanto.

Non mi piace
La tecnica ossessiva di Christian Bale, il suo mimetismo maniacale, senza dubbio generoso, ma sempre terribilmente di maniera. Tendo a pensare che l’assillo dell’aderenza fisica ai personaggi sia più un suo pallino che una richiesta, visto che Mark Walhberg non sembra mai un vero peso welter (ma almeno un medio dal vigore della muscolatura), ma la cosa non crea problemi a nessuno.

Consigliato a chi
Consigliato a chi cerca un cinema classico costruito sulle interpretazioni e la forza della storia. Ma soprattutto a chi ama lo sport al cinema, la sua naturale predisposizione all’epica. E a chi ancora si emoziona per un intenso abbraccio.

Voto: 4/5

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