Ted: la recensione di Gabriele Ferrari

Si fa un gran parlare ultimamente del ritorno degli anni Ottanta, tra improbabili operazioni di recupero tipo Super 8, remake di grandi classici di quel decennio – l’ultimo in ordine di tempo è Robocop – e pompose celebrazioni di film comunque decisivi come E.T.. In questo panorama nostalgico e un po’ ombelicale è facile rimanere stupiti nel constatare che la miglior mimesi del cinema di trent’anni fa arrivi dalla penna di una persona che ha fatto dell’essere sempre al passo con i tempi la sua ragione di vita.

Seth MacFarlane, creatore dei Griffin – e di un paio di spin-off quasi indistinguibili dagli originali –, nei suoi cartoon ha sempre cavalcato l’onda dell’attualità con il suo umorismo scorretto e senza compromessi, sfottendo la situazione politica, i fatti di cronaca, il jet set. Ted, invece, prima testimonianza del suo passaggio al cinema live action, prende questo approccio e lo accantona almeno in parte, preferendo mettere in scena una favola vecchio stile, quella che gli americani chiamano “coming-of-age”. Quella che il buon vecchio Spielberg era solito, film dopo film, declinare (o far declinare ai suoi fedelissimi) sotto una luce differente: la fantascienza (E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo), l’horror (Poltergeist), l’avventura classica (I Goonies). Anche Ted compie un’operazione simile, ma invece di sci-fi o action sceglie una strada più tipicamente macfarlane-iana: quella dei rutti e delle droghe.

La storia è quella di un bamboccione come tanti (John/Mark Wahlberg, al quale Hollywood dovrebbe smettere di dare ruoli action per concentrarsi sul suo talento comico) e come nessuno: il suo migliore amico è un orsetto di peluche parlante, entrato nella sua vita quando aveva dieci anni (l’età di Elliott in E.T.) e da allora mai uscitone. Tutt’altro: nonostante il fuggevole periodo di celebrità di Ted («Non importa che tu sia Justin Bieber o Corey Feldman, alla fine a nessuno frega più niente di te» dice Patrick Stewart nell’introduzione in voiceover, come da tradizione Eighties) i due sono inseparabili, passano le giornate a devastarsi di canne e a guardare il Flash Gordon con Sam Jones e, più in generale, non vanno da nessuna parte. Quella di John è una vita in stallo, da bambino troppo cresciuto, quasi che MacFarlane volesse raccontare attraverso il suo protagonista quella che è la sua vita; e come in tutte le esistenze in sospeso non manca l’elemento di rottura nella figura della fidanzata di John, Lori (Mila Kunis, fedelissima griffiniana visto che presta la voce a Meg). Il conflitto è tutto qui: una donna adulta e in carriera che vorrebbe trascinare il suo uomo fuori dalle secche dell’immaturità e lontano dalle grinfie del suo orsetto. Coming-of-age, appunto, con una morale però tutt’altro che scontata e che è forse l’unica concessione alla modernità.

In mezzo a questa grande seduta di psicanalisi, feste a base di droga e prostitute, cassiere di supermercato sexy e sceme, un tizio inquietante (Giovanni Ribisi) che vorrebbe comprare Ted per regalarlo al figlio, camei più o meno casuali di star del cinema e in generale tutto l’armamentario tipico dei Griffin. Che trasferito in un contesto live action, ed è questa la grande notizia, funziona alla perfezione: le battute scorrette tagliano il doppio se sputate in faccia a una persona vera («Grazie per l’11 settembre» dice Ted a una nota cantante – indiana, ma che lui è convinto essere musulmana), gli inserti comici random spiazzano e divertono e non mancano nemmeno momenti di vera regia, con piccoli esperimenti che dimostrano che MacFarlane ha talento anche con la macchina da presa.

Ci piace pensare che se E.T. non avesse “telefonato casa”, ma avesse deciso di approfondire la conoscenza della birra, lui ed Elliott non sarebbero cresciuti in modo molto diverso da John e Ted. Ci piace anche pensare che questo film sia una dichiarazione d’intenti, un grido che suona più o meno come: «Non è davvero necessario crescere, non del tutto. Restate un po’ bambini dentro!» e che non è solo un rantolo nostalgico ma un fierissimo «YAWP», tanto per restare in tema Ottanta. Ci piace pensarlo, ma non ci giureremmo, magari siamo anche noi bambinoni mai del tutto cresciuti. Comunque sia, male che vada ci rimane per le mani la commedia più divertente degli ultimi anni.

PS: abbiamo visto il film in inglese. Difficile immaginare come possa essere l’esperienza di vederlo doppiato in italiano.

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Mi piace
L’autentico e quasi commovente spirito anni Ottanta che pervade la pellicola. L’alchimia tra Wahlberg, la Kunis e anche MacFarlane (che presta movenze e voce a Ted). Parecchie battute indimenticabili.

Non mi piace
Qualche momento di stanca sul finire del secondo atto. Il personaggio di Giovanni Ribisi poteva venire approfondito maggiormente.

Consigliato a chi
Ai fan dei Griffin, ai fan di Spielberg, ai fan della risata intelligente e crassa insieme.

Voto: 4/5

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