Super 8: la recensione di Luca Ferrari

Può esistere una nostalgia più grande dei nostri sogni di bambino/a? No. Nemmeno se non si sono mai assopiti dentro di noi, perché anche se mantenuti tali, all’epoca erano comunque diversi. Più ingenui. Innovativi. Meno irrealizzabili. Ma come affrontare le tagliole dell’era moderna quando vieni dolcemente sbalzato per un paio d’ore in una dimensione che ti fa riavvicinare alla scintilla di una magia? Come si vive il giorno dopo? Come si vive la sera stessa? Come lo si racconta? Con una telecamera, nella migliore delle ipotesi. Magari una Super 8, come il titolo del nuovo film di J. J. Abrams (Armageddon, Alias, Lost), sotto l’attenta supervisione di Steven Spielberg. Storia di provincia americana ambientata agl’inizi degli anni ‘80, quando un gruppetto di ragazzini, nel girare un film sugli zombie, assiste a un incidente ferroviario molto strano, con dentro i vagoni un contenuto che si rivelerà extraterrestre. Richiami agli anni passati prima ancora dell’inizio della pellicola, direttamente da film “E.T.” (1982), con l’immortale logo della bicicletta che vola sullo sfondo lunare guidata da Elliott (Henry Thomas) e il tenero amico alieno. Dediche spielberghiane a parte, la storia ci riporta indietro a un’era senza internet, cellulari e altre diavolerie ultramoderne. Dove la creatività era ancora il miglior passatempo per le nuove generazioni. Dove si sgattaiolava fuori di casa a mezzanotte per fare delle riprese con degli amici (o al massimo filmare un esperimento scientifico di salto nel tempo), senza passare per alcol e droghe. Tra i giovani cineasti, l’ultimo a unirsi al gruppo è una ragazzina, Allie (la sempre più convincente Elle Fanning), di cui sia Charles (il regista) che il più timido Joe (Joel Courtney), sono invaghiti. La tenera e casta attrazione tra Alice e Joe si sviluppa delicatamente. Senza baci, ma tra sguardi. Con qualche abbraccio capace di scatenare tenere emozioni ben più forti di futuri atti carnali. Al momento del trucco, durante le riprese del film, si percepisce l’imbarazzo del ragazzino di esserle così vicino per la prima volta. E quando lei lo guarda con i suoi occhioni innocenti, il cuore pompa instancabile. Un sentimento, quello dei due adolescenti, molto “romeo-giuliettiano”, poiché non visto di buon occhio dalle rispettive famiglie e anzi, ostacolato. Jackson Lamb (Kyle Chandler) infatti, il padre di Joe, vicesceriffo della cittadina di Lillian (Ohio), ha perduto sua moglie a causa (indiretta) del mezzo sbandato Louis Dainard (Ron Eldard), padre di Allie, il cui arrivo al lavoro ubriaco, ha fatto sì che la mamma di Joe prendesse il suo posto, andando poi incontro a un incidente mortale. L’alieno intanto semina il panico, ma la realtà è che vuole solo tornare a casa. Non è di questo avviso la spietata US Air Force, che dagli anni 50 lo ha fatto prigioniero sottoponendo a test e torture, e lo vuole catturare. Toccherà alla giovane banda di amici fare in modo che la strana creatura possa riprendere le vie misteriose dello spazio. E quando all’amore, si unisce anche il coraggio, il risultato può essere solo uno. Rispetto, comprensione e vita. “Super 8” racconta di un mondo ormai lontano, dove la scoperta alimenta le giovani menti. Per chi ha conosciuto l’era del walkman, non può non suscitare qualche emozione il sentire lo sceriffo domandarsi “dove andremo finire” nel momento in cui il ragazzo dello spaccio gli mostra questo strano coso con le cuffie. Negli anni ’80 tutto sembrava possibile perché c’era un mondo da conquistare, e cambiare. Dove sono le frontiere al giorno d’oggi? Sepolte da sentimenti sempre più intolleranti. Oggi si fa musica senza suonare, e cinema con aggeggi microscopici lasciando in troppi casi più astrazione e meno umanità. Ehi, sto solo scrivendo. Non ho nostalgia di quello che è stato, ma temo ne avrò ancora meno di quello che sarà.

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