Super 8: la recensione di EmilyMorgan

Era il 1982 quando Steven Spielberg riuscì a conquistare gli occhi e i cuori del mondo con il suo indimenticabile E.T. Ed era il 1986 quando Richard Donner, partendo da un soggetto dello stesso Spielberg, diresse I Goonies nella loro inimitabile avventura. Sono passati quasi trent’anni e il cinema americano, con la bravura di J.J Abrams, ripropone ai telespettatori una pellicola che ha tutto il fascino e la forza dell’amicizia preadolescenziale e il nostalgico ricordo di questo fortunatissimo sottogenere.
Biciclette, misteri e ragazzini pieni di sogni, problemi e straordinarie capacità. Abrams ha voluto omaggiare il grande regista Spielberg riavvolgendo il tempo fino agli anni 80’, ripercorrendo le musiche, le mode e i meccanismi di quell’epoca attraverso una vitalità che nasce dalla impressionante bravura artistica dei piccoli attori. Attraverso il fascino di una Super 8 il mistero viene catturato, elaborato e portato ai suoi massimi vertici dentro l’oscurità del segreto, mentre ogni cosa cambia e si trasforma inspiegabilmente sotto gli occhi di tutti. Ed ecco che Abrams aggiunge il proprio tocco, aggiunge sentimenti e paure che scavalcano il vecchio genere, un senso di smarrimento e di solitudine che ha le sue radici nei giorni nostri e ripercorre all’indietro il tempo scontrandosi con il forte legame che unisce i ragazzini. Un legame unico, affiatato e così sincero da far riflettere, sono i ragazzini ad essere cresciuti o i grandi ad aver perso l’intelligenza dell’innocenza?. In questo film il mondo degli adulti è il mondo dell’incertezza, di quella paura che è cosa radicata dentro la nostra civiltà, da nascere dal suolo e da lì crescere e spargersi come un mostro. Quel mostro, quello che apre gli occhi davanti a Joe mostrando in quel primo piano tutta la sua intimità. È il mostro della nostra epoca, il mostro dei nostri incubi.
E.T è solo un vecchio ricordo, il simbolo di un’umanità e di una pace che riaffiora nel protagonista attraverso le vecchie immagini di sua madre con il suo “ sguardo sincero” che Joe non riesce a togliersi dalla testa. Per questo motivo, per cercare di recuperare questa nostalgica bontà, Abrams decide di lasciar scivolare dalle mani del protagonista l’unico oggetto che per lui significa costanza e presenza. Quella collanina che viene attratta dall’enorme nave ricostruita dal mostro ormai in partenza, è l’emblema di una nostalgica certezza che viene lasciata al passato per dar posto alla speranza di una nuova.
I vecchi film hanno sempre l’incredibile capacità di commuovere, di ridestare dal suo sonno un meccanismo che si assopisce col progredire delle tecnologie. Commuove vedere quella vecchia videocamera immortalare il “ valore di produzione”, urlato a squarcia gola da Charles nei momenti meno opportuni. Ma è proprio questo il segreto, cogliere ciò che la memoria a lungo andare perderebbe per sempre, l’istante. E Abrams ha giocato bene, riallacciando il fascino lento del passato alla velocità impressionante del presente.

Voto: 4/5

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