Suffragette: la recensione di Giorgio Viaro

Si rischia un eccesso di pudore e un deficit di entusiasmo a parlare di un film come Suffragette, che usa tutti gli strumenti della retorica hollywoodiana per raccontare una famosa parabola progressista, quella delle suffragette appunto, ovvero un movimento femminista che negli anni 10 del Novecento, in Inghilterra, dopo quasi mezzo secolo di scontro sociale e grazie in particolare all’azione organizzativa di Emmeline Pankhurst (nel film interpretata da Meryl Streep, ma è poco più di un cameo), ottenne il riconoscimento del diritto al voto per le donne; prima parziale, poi – dieci anni dopo – totale.

Parlo di pudore perché siamo di fronte a un tipo di cinema in cui tutto è così esemplare e in un certo senso meccanico che bisognerebbe forse usare una distanza critica più giusta per pensarlo e valutarlo. Eppure nella storia immaginaria di Maude Watts (Carey Mulligan, magnifica), che lavora in una grande lavanderia, molestata dal capo e con una aspettativa di vita bassissima, c’è una rappresentazione dell’urgenza politica e dell’impegno sociale così efficace, così diretta, che il resto importa meno. Entrando e uscendo dal carcere, una manganellata dopo l’altra, Maude perde il lavoro, il marito e il figlio, spingendo il suo attivismo fino ai territori del terrorismo bombarolo, il che tra l’altro – destoricizzando il contesto e guardandogli un po’ a lato – innesca dei cortocircuiti non da poco.

Il conservatorismo è una creatura cieca e sorda, che agisce per vie sempre uguali: quando e come combatterlo è il tema che si rinnova a ogni battaglia per i diritti civili. Suffragette, diretto da un donna, e in cui anche il migliore dei personaggi maschili è marginale o ingiustificabile, ha una forza schietta, una determinazione nel rispondere alla domanda che desta ammirazione, e che si alimenta di piccoli gesti marginali, di calore e bellezza, soprattutto nel rapporto tra Maude e il figlio, che sono sempre nella messa in scena più importanti delle manifestazioni e degli esplosivi, del carcere e del dolore. Ed è qui la meraviglia del film, in questa via di poco effetto e cose preziose, di rifiuto di ogni tentazione exploitation, che racconta la dolcezza paradossale delle battaglie giuste.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace:
L’impegno politico e sociale che emerge con grande forza e l’attenzione ai piccoli particolari

Non mi piace:
La storia è raccontata servendosi di un po’ troppa retorica

Consigliato a chi:
Cerca un film in costume vitale ed efficace, con una Carey Mulligan in gran spolvero

Voto: 3/5

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