Ruth & Alex: la recensione di Mauro Lanari

Quasi ottanta lui (78), quasi settanta lei (69), dopo 40 anni di matrimonio incappano in un paio di beghe tragicament’incresciose: alla loro cagnolina Dorothy di 10 anni vien’un’ernia al disco fra la T12 e la L1, e vagheggiano un nuovo appartamento non più al 5° piano senz’ascensore. Fine della trama: da non crederci eppur’è proprio così, oziosa, fragil’e impalpabile, se ne lamentano anch’i critici USA (54% su RT) in tandem con l’utenza d’IMDb (6,1 ma molto contrastato: http://www.imdb.com/title/tt2933544/ratings), buona forse per una pièce teatrale mentre sullo schermo sa di scherno. Nel film di Loncraine, che si basa s’un romanzo di Ciment, la morte associata per antonomasia all’anzianità si trasforma in un convitato di pietra ostracizzato, “muta presenza” né inquietante né minacciosa. Ruth & Alex, ossia Diane Keaton e Morgan Freeman, inscenano la fiaba coniugale dell”e vissero felici e contenti” sino alla fine. Non che si sentisse l’esigenza d’un approccio impietoso e spudorato alla Haneke o alla stregua della drammaturgia bergmaniana (pure l'”Umberto D.” girato da De Sica sarebbe stato fuori luogo, trattando d’una vecchiaia povera e non benestante com’al contrario in questo caso). Tuttavia è lo stesso Woody Allen, al quale la pellicola rinvia in continuazione (sebbene Brooklyn non sia Manhattan e la panchina non sia davant’al Queensboro m’al Williamsburg Bridge), che ha inventato e c’ha insegnato un tono mesto, malinconico, dolente quanto sarcasticamente autoironico per affrontar’il tema. Loncraine non se ne mostr’affatto capace.

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