Romanzo di una strage: la recensione di Giorgio Viaro

Il valore di Romanzo di una strage non è così semplice da decifrare. Il film di Marco Tullio Giordana che ripercorre la terribile alba dei nostri anni ’70 è un resoconto drammatizzato di fatti storici – ufficiali e non – che oggi, a distanza di 40 anni e in assenza di colpevoli, vengono raccolti dai più sotto il cappello di “strategia delle tensione”. Un groviglio di piccoli e grandi attentati terroristici orchestrati dai servizi segreti militari americani e italiani attraverso il braccio armato di gruppi eversivi di estrema destra, con l’obiettivo di destabilizzare le istituzioni democratiche, inasprendo il clima repressivo e – ove possibile – instaurando delle dittature militari che avrebbero avuto l’obiettivo di arginare la “minaccia comunista” (come accadde in Grecia).

Trattandosi di conclusioni che non hanno mai avuto una ratifica da parte delle istituzioni – la strage di Piazza Fontana presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura, che è al centro del racconto, non ha tutt’ora dato luogo a condanne – ogni ricostruzione è fisiologicamente “delicata”. E tuttavia, dopo 40 anni e un numero imprecisato di prove raccolte e testimonianze, la verità ufficiosa è un patrimonio largamente condiviso.

Il merito del film è nella sua stessa sfida: quella di fare ordine in un numero enorme di indizi, atti processuali, testimonianze, presentando quella verità ufficiosa nel modo più equilibrato e comprensibile possibile. Pur mantenendo alto il ritmo narrativo per oltre due ore – la forma del film è in definitiva quella di un dramma processuale – Giordana conserva una distanza drammaturgica dalla materia storica tale da non banalizzare/schematizzare i fatti attraverso le strutture del puro cinema di genere: il che, se potrà nuocere dal punto di vista degli incassi, sembra comunque una scelta sensata.

Inoltre l’autore de La Meglio Gioventù piazza gli attori giusti al posto giusto, accentuando così la dimensione umanistica e favorendo il coinvolgimento: Valerio Mastandrea nei panni del commissario Calabresi e Pierfrancesco Favino in quelli dell’anarchico Pinelli sono bravissimi, così come la maggior parte dei caratteristi secondari (specie il gruppo dei veneti), e solo Fabrizio Gifuni – nel ruolo di Aldo Moro – rischia la caricatura.
Un robusto saggio di inchiesta, che raccoglie e ripropone verità dolorose e spesso circondate da un nocivo alone di mito storico. Le qualità cinematografiche sono ben in vista, ma senza che la forma si assuma le responsabilità della sostanza.

Mi piace
L’equilibrio tra ricostruzione documentaria e drammatizzazione umanistica.

Non mi piace
Si poteva spingere di più sull’orrore delle morti consumate: non è detto che l’eccesso di pudore sia sempre la scelta migliore

Consigliato a chi
A chi vuole farsi un po’ d’ordine in testa su una fetta importante della recente storia italiana: dalla Strage di Piazza Fontana all’omicidio del commissario Calabresi

Voto: 4/5

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