Già il fatto che la prima emozione giunga dopo 52 minuti con “Hey Joe” d’Hendrix non è benaugurante. Da quel punto in poi la storia d’Aretha è sceneggiata in un notevole mix di vita privata e pubblica, relazioni familiari o sentimentali e il suo impegno com’attivista nelle battaglie politico-civili a favore di donn’e coloured. È notevole pure come ciò venga tradotto nel farsi della sua musica, nel componimento delle sue canzoni. Il guaio inaspettato è che l’intuizione artistica non si trasfigura in intuizione spirituale, paradossalmente per l’eccesso di scene e dialoghi sulle sue radici religiose. Fosse così, allora il problema sarebbe dovuto alla regista esordiente con uno stile troppo acerbo, piatto e anonimo.
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