Oggi è uno dei campionati sportivi più ricchi e seguiti al mondo, con contratti da far impallidire le cifre date ai calciatori europei che tanto agitano le chiacchiere da bar, ma c’è stato un tempo in cui la NBA (National Basketball Association) era poco seguita e sull’orlo del fallimento. I giorni di gloria del nuovo millennio sono frutto dell’avvento di alcune leggende dello sport, su tutte Michael Jordan. Come ha più volte dichiarato Sua Altezza Aerea, però, non ci sarebbe stato nessun Jordan senza l’altro MJ, Magic Johnson. Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers racconta proprio i suoi rivoluzionari esordi nel mondo della palla a spicchi.
Prodotta da Adam McKay, Jim Hecht e Max Borenstein, è la perfetta e romanzata risposta di HBO al successo di The Last Dance. Idealmente ne costituisce un prequel che ricalca la stessa eulogia epica della serie Netflix dedicata alla carriera di Michael Jordan, ma in una chiave ancora più drammatica per capacità di approfondimento. Winning Time è infatti un altro grande racconto sportivo, animato da personaggi sull’eterno confine tra umanità e leggenda: Magic Johnson e la rivalità con Larry Bird, epicentro sportivo del basket anni ’80; Jerry Buss, vulcanico imprenditore, giocatore di poker e proprietario di un Playboy Club intenzionato a fare la storia; e ancora i tormenti del non più giovane Kareem Abdul-Jabbar, il tentativo di rivalsa post-carriera di Pat Riley e molto altro.
in 10 episodi c’è spazio per raccontare storie di grande sport e intrecciarle ad altre di disarmante umanità (come la parabola di Spencer Haywood, figura determinante per il basket NBA, o il coach-meteora John Paul McKinney), ma non è solo il contenuto a rendere Winning Time una delle serie must watch del 2022. La forma scelta grida Adam McKay in tutto e per tutto: montaggio serrato ed una costante quanto istrionica rottura della quarta parete, spesso usata per punteggiare i momenti più leggeri e distensivi, restituiscono una pressante e divertente pretesa mockumentaristica che tuttavia sa quando farsi da parte.
Uno dei pregi di Winning Time è infatti saper dosare questo luccicante impianto visivo – valorizzato anche da una fotografia a grana grossa simil VHS, à la page con il periodo raccontato, ed una colonna sonora che pesca a piene mani nel genere blaxploitation – e fare un passo indietro quando la componente drammaturgica richiede maggiore spazio. L’immagine nei momenti clou si fa più nitida, lascia campo ad un’estetica meno elastica e spiritosa, più formale e funzionale al racconto.
Ricalca, insomma, una buona strategia di campo: abbacinante e frenetica in fase d’attacco e accorta in quella di difesa. Proprio come quei leggendari Los Angeles Lakers. Winning Time è un possibile titolo MVP di un filone già di per sé ricco di grandi titoli: da He got game di Spike Lee al recente Hustle con Adam Sandler e in attesa di Rise (che racconterà la storia di Giannīs Antetokounmpo e i suoi due fratelli), il basket e l’NBA sembrano avere anche cinematograficamente una marcia in più.
Il motivo, forse, sta nella dichiarazione d’intenti pronunciata a inizio serie dal sorprendente Doctor Buss interpretato da John Reilly: «La pallacanestro è come il sesso. Sempre in movimento, c’è ritmo, contatto, intimità». Tutti gli ingredienti di una schiacciata vincente.
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Foto: HBO
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