The Gray Man: il grigio è il colore della noia. La recensione del film con Ryan Gosling e Chris Evans

Il nuovo action movie impaccato di star è un altro buco nell'acqua per Netflix

the gray man recensione
PANORAMICA
Regia (1.5)
Sceneggiatura (0.5)
Interpretazioni (2)
Fotografia (2)
Montaggio (1.5)
Colonna sonora (1.5)

Provaci ancora, Netflix: anche The Gray Man, ultimo tentativo della piattaforma di coniugare le esigenze dello streaming alla volontà di imporsi con un grande star system e cinema di genere, si è rivelato un buco nell’acqua. 

Basato sull’omonimo romanzo di Mark Greaney, la nuova ricetta per crearsi in casa il proprio James Bond, Mission: Impossible o Jason Bourne mescola insieme molti elementi classici del genere: Court Gentry è l’agente segreto Sierra Six, un operativo CIA addestrato per quelle missioni con cui l’Agenzia non vuole avere ufficialmente nulla a che fare. Six si imbatte in alcuni segreti che mettono a rischio non solo la sua vita, ma soprattutto quella della giovane nipote del suo vecchio mentore. Contro di lui, il Direttore delle Operazioni CIA (Regé-Jean Page) schiera una variabile impazzita: il sociopatico mercenario Lloyd Hansen.

Diretto dai fratelli Russo di Avengers: Endgame e con un cast impaccato di grandi star come Ryan Gosling, Chris Evans, Ana De Armas e un mai così stanco e svilito Billy Bob Thornton, l’action movie di Netflix aveva tutti i numeri per portare a casa un risultato facile. A partire da un protagonista granitico, tanto letale quanto misterioso come da tradizione e portato in scena da uno degli attori migliori al mondo quando si tratta di lavorare in sottrazione – un Gosling sempre mono espressivo à la Drive ma comunque in grado di dare umanità, spirito e motivazione al suo Sierra Six.

Nonostante il tentativo di dare spessore artistico al film grazie alla regia dei Russo, il risultato ottenuto da Netflix con The Gray Man è un wannabe Jason Bourne e Ethan Hunt (super agenti traditi dalla loro stessa agenzia), senza però metterne in campo la stessa grazia tecnica e adrenalinica muscolarità. Nulla si amalgama come dovrebbe: anche le sequenze più spettacolari nel setting e nelle evoluzioni risultano impalpabili, complici degli effetti speciali tremendamente plastici e confusi, passano sullo schermo in sottofondo senza far altro che da collante tra improbabili sviluppi necessari più per dovere che per reale interesse.

L’unica trovata di stile che avrebbe potuto contribuire a lenire un impietoso paragone con i grandi titoli che hanno fatto la storia del genere, ovvero le riprese col drone “a terra”, è talmente abusata da risultare invadente e pretenziosa già dopo il terzo utilizzo. L’attenzione ai personaggi è nulla: fatto salvo il protagonista (giocata sicura proprio perché copia-incolla di altri celebri parenti), a Chris Evans è stata data licenza di esagerare con faccette e smorfie e costruire un villain tremendamente banale per spocchia e arroganza, mentre del personaggio di Ana De Armas si conoscono sì e no due cose per tutto il tempo.

Anche con The Gray Man, Netflix conferma di avere enormi problemi di bilanciamento delle sue velleità artistiche ed economiche: tra un The Irishman di Martin Scorsese e un Mank di David Fincher, la piattaforma ancora non trova la quadra tra star system e controllo artistico sui propri prodotti, facendo così finire l’action dei Russo nello stesso cesto di The Adam Project, Bright, Malcolm & Marie e tanti altri.

Viene in mente il mai banale Stanis La Rochelle di Boris, quando apostrofava Stanley Kubrick considerandolo «il classico esempio di instabilità artistica. Abbia pazienza, è uno che affrontava un genere, falliva, e passava a un altro genere. Come lo vogliamo chiamare?». Netflix, a quanto pare.

Foto: MovieStills

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