The Boys: no, i ragazzi non stanno bene per niente. La recensione della terza stagione

Lo show di Prime Video si sta imponendo per qualità e uno sguardo brutale e "realistico" sui cinecomic, ma rischia di inciampare in alcuni evidenti ostacoli

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Per parlare di The Boys, la serie Prime Video arrivata alla fine della terza stagione, viene facile storpiare il film di Lisa Cholodenko del 2010, I ragazzi stanno bene. In parte per il tanto immediato quanto scontato gioco di parole, ma anche perché a grandi linee condividono un fondamentale nucleo drammatico: anche The Boys, sotto sotto, è una serie che ruota attorno a drammi familiari, traumi e persone sul costante punto di rottura.

I nuovi episodi lo hanno reso ancora più chiaro: c’è il patologico bisogno di Homelander (Anthony Starr) di trovare una propria identità affettiva; il suo legame con la new entry Soldatino (Jensen Ackles); le tribolazioni dei boys che danno il titolo alla serie, costantemente in bilico tra l’umana volontà di salvarsi a vicenda e l’altrettanto umanissimo desiderio di vendetta che li spinge a saltare continuamente da una parte all’altra della linea tracciata dalla morale.

Si riparte quindi dalla stessa missione: uccidere Homelander, sempre più vicino ad abbracciare le sue inclinazioni da Übermensch, una prospettiva palpabilmente terrificante e che tiene in ostaggio ogni personaggio che si ritrova in scena con lui. Il nuovo piano di Butcher (Karl Urban) e il non più così virgineo Hughie (Jack Quaid) è ancora più estremo: usare “il vecchio Patriota” per uccidere il nuovo e, al contempo, ricorrere al Temp V, un composto che conferisce loro super poteri e li mette sullo stesso piano (fisico e morale) del loro acerrimo nemico.

Dal 2019, The Boys si è imposta come una delle migliori serie in circolazione, la risposta Prime Video a Stranger Things: mentre la serie Netflix lavora sulla riproposizione di temi e modelli nostalgici, quella di Amazon punta invece a scardinare e riscrivere il paradigma del supereroe che ha dominato il botteghino mondiale negli ultimi anni, ovvero l’universo Marvel. Basandosi sui fumetti di Garth Ennis e Darick Robertson, sfrutta le stesse meccaniche e messe in scena tipiche dei cinecomic imbellettandosi di costumi e lustrini, ma dietro a questa presentazione prettamente commerciale il valore di The Boys è quasi documentaristico, per cinica e spietata verosimiglianza di cosa accadrebbe davvero se in un mondo turbo-capitalista esistesse un’azienda in grado di creare e brandizzare supereroi.

Il fascino della domanda è forte: dal 1999 al 2005 è stata esplorata da J. Michael Straczynski (lo sceneggiatore di Sense8, Changeling, World War Z e anche del primo Thor della Marvel) nell’albo Rising Stars, e ancora prima dall’immortale capolavoro di Alan MooreWatchmen. Di quest’ultimo, The Boys sembra volerne incarnare lo stesso peso concettuale, lo stesso valore riflessivo sull’ontologia super-eroistica, mascherando tutto sotto una patina di commedia e di satira prettamente politica e progressista. L’allegoria tra Homelander e il Trumpismo, però, è così palese da risultare stucchevolmente telefonata e rappresenta infatti uno dei problemi che stanno tarpando il potenziale della serie.

La qualità resta altissima, ma le premesse stesse di The Boys stanno creando ostacoli difficili da superare di slancio: lo strapotere di Homelander, contro-bilanciato solo da una complessità emotiva che ne tiene a bada la deriva ultra-nazista, sta creando un loop narrativo non indifferente. Dopo mille rivoluzioni, la terza stagione non ha spostato di un millimetro gli equilibri e le motivazioni delle parti in campo: cambiano (di poco) le alleanze, ma il core business dei Boys è ancora quello, sempre quello e rischia quindi di finire in un proverbiale cul-de-sac. Tutto cambia perché niente cambi, almeno fin quando non lo decide Patriota stesso.

Allo show, rinnovato per una quarta stagione, si chiede insomma di non cristallizzarsi attorno alle stesse ripetitive dinamiche e, magari, di non intitolarsi presuntuosamente un estremismo narrativo poi smentito alla prova dei fatti. Perché sì, l’episodio Herogasm ha mostrato dildi volanti e un’orgia di supereroi, ma si è dimostrato anche molto meno esagerato di quanto onanisticamente reclamizzato. Si può fare ancora meglio (o peggio) e si può osare ancora di più, per dare ai fan qualcosa di veramente lontano dal luna park Marvel. O semplicemente diverso, alternativo e altrettanto riuscito.

Foto: MovieStills

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