In Crimes of the Future, da qualche parte nel futuro la tecnologia medica ha debellato il dolore e il corpo è diventato territorio di ogni sorta di sperimentazione e performance. «I chirurghi estetici non hanno fantasia» dice entusiasta una modella a Caprice (Léa Seydoux), dopo essersi fatta sfigurare il viso con un bisturi. In un’altra scena, un ballerino si fa cucire occhi e bocca, e applicare decine di orecchie su tutto il corpo, prima di iniziare il suo show. In questo contesto storico e sociale l’avanguardia artistica è rappresentata da Saul (Viggo Mortensen), un uomo che assume ormoni che producono la crescita di nuovi organi interni. Durante i suoi spettacoli, Caprice rimuove quegli organi con strumenti chirurgici nati per le autopsie, dentro involucri simili a sarcofagi. Nel frattempo, su tutte queste attività vigila la New Vice Unit, una polizia incaricata di monitorare l’evoluzione della specie alla luce delle mutazioni in corso.
Non ha nulla di particolarmente scandaloso il nuovo film di David Cronenberg, epitome delle sue ossessioni intellettuali e della sua estetica lo-fi, orgogliosamente analogica. Esplicita, per bocca del personaggio di Kristen Stewart, un’impiegata del Registro dei Nuovi Organi, che «la chirurgia è il nuovo sesso», ma è un tema che nel suo cinema è ben in evidenza fin dai tempi di Inseparabili e Crash, e che qui viene solo reso più didascalico. Tutto il film funziona in questo modo, come fosse la liberazione definitiva di un immaginario, e quindi una grande festa per accoliti.
Anche le chiacchiere che avevano preceduto la presentazione del film a Cannes 75, il rischio di malori in sala e di un fuggi fuggi generale, avevano destato un certo sospetto, e in effetti la questione è più concettuale che estetica: la scena incriminata riguarda l’autopsia di un bambino. Ma oggi, e per di più in pieno bombardamento mediatico della guerra in Ucraina, la frontiera del visibile è altrove, i sensi e le sensibilità sono in una condizione di continua allerta, e gli organi di plastica di un bambolotto di gomma, dentro un immaginario tutto sommato innocuo come quello cronenberghiano, non possono certo provocare sovrapposizioni di sguardo scandalose.
E forse è proprio questo il punto: che Cronenberg sia diventato la misura di se stesso, che la sua visione del mondo sia diventata uno standard, che la sua posizione rispetto alla realtà sia a questo punto sufficiente per costruire un festival a tema (è proprio quello che accade nel film, dove è previsto un “Festival degli Organi”). Non è ancora una parodia, certo, perché la mano è ferma, c’è un grande controllo, una “gravità” d’autore esercitata su tutto. Ma non siamo più nemmeno così distanti.
È interessante che nello stesso giorno di Crimes of the Future, nel Certain Regard sia stato presentato Sick of Myself, un film norvegese che racconta il delirio di una donna, che per attirare l’attenzione del fidanzato e dei media rimane volutamente sfigurata assumendo in dosi massicce un farmaco tossico, e così facendo ottiene un contratto da modella, per un’agenzia che vuole promuovere “modelli inclusivi”. Ma finirà presto dimenticata e abbandonata da tutti, in un finale che sembra irridere le ossessioni cronenberghiane: la manipolazione della carne è una moda passeggera, una patologia narcisistica, un problema privato.
Francamente, a distanza di poche ore, mi è sembrato un film molto più moderno.
Foto: Argonaut Productions