Rachel

Rachel Weisz è una cugina seducente e affascinante nell'adattamento del romanzo My Cousin Rachel

Rachel con Rachel Weisz

Philip Ashley (Sam Claflin), rimasto orfano da bambino, viene cresciuto dal cugino Ambrose in Cornovaglia. Le donne lo tengono a debita distanza e inspirano in Philip una naturale freddezza: quando l’amato cugino passa a miglior vita in una villa in Toscana, il giovane medita di accogliere con ostilità la vedova di lui, la cugina Rachel (Rachel Weisz), in arrivo dall’Inghilterra. Ciò che Philip ha però congetturato su Rachel, a tal punto da considerarla nemmeno troppo sottobanco l’artefice della morte di Ambrose, si rivelerà piuttosto diverso dall’evidenza del loro contatto, che indurrà Philip a rimanere affascinato e perfino ammaliato dalla donna.

Diretto dall’inglese Roger Mitchell (Notting Hill) a partire dal romanzo di ambientazione ottocentesca Mia cugina Rachele, scritto nel 1950 da Daphne Du Maurier (già autrice di La taverna alla Giamaica e Rebecca, la prima moglie, portati al cinema da Alfred Hitchcock), My Cousin Rachel, in arrivo nelle sale italiane col semplice titolo di Rachel (l’uscita iniziale era prevista per l’8 marzo), è un dramma in costume che era stato già portato al cinema nel 1952 con i volti assai riconoscibili di Olivia de Havilland e Richard Burton.

Questa nuova trasposizione si affida a un attore lanciato come Claflin e a un’attrice che non ha mai mancato di irretire e affascinare, con la sua presenza magnetica e il suo volto altrettanto inusuale, come Rachel Weisz: una bellezza che sembra davvero planare da un’altra epoca e da un dipinto dell’Ottocento, ma con dalla sua una slabbrata carica di seduzione a dir poco contemporanea. Perfetta, dunque, per un film come questo, che pur nelle sue debolezze di messa in scena si affida all’osservazione guardinga e misteriosa, defilata e circoscritta, come massima forma di esaltazione dello sguardo e, dunque, di erotismo.

Il piacere di guardare, in Rachel, non basta a dissipare il rebus ambiguo di una presenza femminile stratificata e inavvicinabile, candida ed eterea eppure insondabile come il più ombroso dei rompicapi, irascibile ma indifesa, enormemente resistente e proprio per questo sottilmente accogliente. Il nascere dell’attrazione e la messa a punto del contesto non sono certo il punto forte del film (c’è anche la visita agli Uffizi con Favino, pieno di talento perfino in un ruolo microscopico), piuttosto patinato nel lavorare sulla sorgente primaria della sensualità e più avvezzo alle reticenze, alle luci tenui e chiaroscurali del film in costume, diviso tra le fiamme deboli delle candele e i sospiri, altrettanto flebili, del cuore.

Le contraddizioni del personaggio della Weisz sono però palpabili ed è in gran parte merito della prova dell’attrice, molto adeguata per la complessità, sommessa e tutt’altro che strillata, che andava rappresentata sullo schermo. Agisce anche lei in sottrazione, castrata dentro gli strettissimi abiti dell’epoca e le strettoie di un romance ottocentesco, eppure alla fine del film si ha la sensazione di averla conosciuta, sfiorata, soppesando la possibilità di un innamoramento tutt’altro che impraticabile.

Mi piace: le sensualità di molte scene d’amore, ma soprattutto l’interpretazione carica di ombre, tentennamenti e fragilità di Rachel Weisz

Non mi piace: le strettoie estetiche e narrative da tipico film in costume britannico

Consigliato a: chi cerca un film d’ambientazione ottocentesca diligente, senza particolari guizzi e pretese

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