Quartet: la recensione di Matelda Giachi

“Lincoln”: candidato a 12 premi Oscar.
“Les Miserables”: candidato a 8 premi Oscar.
“Django Unchained”; candidato a 5 premi Oscar.
“Vita di Pi”: 11 nomination.
“Argo”: altre 7 nomination.
In mezzo a cotanto scintillare di possibili statuette ci troviamo abbagliati e ci muoviamo come falene attratte dalla luce verso quei cinema che permettono ai concorrenti in gara di sfilare di fronte ai nostri occhi.
Può succedere quindi che un ottimo prodotto cinematografico, come dire, “senza pedigree”, passi del tutto inosservato.
E’ un peccato, perché “Quartet”, pellicola d’esordio alla regia per Dustin Hoffman, è una piccola poesia.
Ambientato in una casa di riposo per ex musicisti e cantanti d’opera lirica, questa si fa teatro di tante realtà: la fragilità della vecchiaia, che non guarda in faccia nessuno e se ne frega se hai fatto il postino, la commessa, il medico o, appunto, il musicista; il difficile connubio tra amore e successo; quella bruciante passione per l’arte e per il palcoscenico, specie di pietra filosofale per ogni artista.
Abituati, sia al cinema che in televisione, ad avere a che fare con giovani talenti che lottano per i propri sogni (da “Fame”, passando per “Dirty Dancing”, fino al recentissimo “Glee”), Dustin Hoffman ci pone a tu per tu con chi il proprio sogno l’ha già vissuto. Una prospettiva diversa dal solito ma non meno interessante. Perché? Perché il cuore di queste anziane stelle della lirica, per quanto provato dagli acciacchi, batte ancora molto forte.
Quattro grandi attori per un grande quartetto: Maggie Smith (quanto la amo!), Tom Courtenay, Billy Connolly, Pauline Collins.
Pochi altri attori di supporto ai protagonisti (tra di essi, gli amanti di Harry Potter vi riconoscerano il vecchio mago Albus Silente, ovvero l’attore irlandese Michael Gambon).
Se avrete la pazienza di trattenervi un minuto in più in sala per scorrere i titoli di coda, vedrete che il resto del cast, che anima questa singolare casa di riposo, è interamente costituito da veri ex musicisti e cantanti d’opera.
Niente 3D, niente effetti speciali, né nuove tecnologie, solo un’ambientazione a dir poco spettacolare. L’esordio di Dustin Hoffman come regista è cauto, modesto, come i passi di chi si muove nel buio.
E’ vero, non è un film in grado di concorrere all’Academy, ma veramente molto piacevole e ha tutte le caratteristiche che si possono desiderare in una commedia: una storia da raccontare,un insegnamento da dare, musiche meravigliose, una durata giusta, dei protagonisti interessanti.
La semplicità viene spesso sottovalutata, al cinema come nella vita. Ed è un vero peccato che “Quartet” stia facendo un passaggio così silenzioso nelle nostre sale perché, a mio parere, si merita anche lui la sua fetta di attenzione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA