A più di trent’anni da Alien, Ridley Scott torna a esplorare lo spazio e a porci le eterne domande che da secoli spingono gli uomini ad alzare gli occhi al cielo: da dove veniamo e perchè siamo al mondo?
Non aspettatevi però di trovare risposte nel film, complice la penna di Damon Lindelof, autore di Lost, che pone tanti (troppi) interrogativi ma a pochi si degna di dar risposta. Soluzione congeniale per un telefilm forse, assai meno per il cinema, con lo spettatore che esce dalla sala con una frustrante sensazione di innapagato.
La storia si dipana tra le più classiche convenzioni sci-fi, con musica classica diffusa nelle cabine dell’astronave che echeggia odissee spaziali, per virare verso tinte decisamente horror, a suon di calamari giganti, mostri carnivori e una scena madre che è già cult (l’aborto fai-da-te di Noomi Rapace).
Il tutto è calato in un’atmosfera cupa perfettamente calzante: Prometheus, a dispetto dei vasti paesaggi che accompagnano i titoli d’apertura e dello spazio infinito in cui si avventura l’astronave, è infatti un film fortemente claustrofobico, con l’azione rinchiusa in spazi sotterranei (l’astronave aliena) o limitati (il Prometheus). Senza dimenticare la cabina medica teatro dell’ aborto e le “bare” criogeniche che prefigurano macabramente l’esito della spedizione.
Dominano la scena i lanciatissimi Noomi Rapace e, soprattutto, Michael Fassbender.
La prima nei panni di un personaggio che ricalca quello che fu di Sigourney Weaver, forte della sua fede e del suo istinto di sopravvivenza; l’altro che dà le fattezze all’androide David in un’ottima interpretazione di un personaggio straordinariamente ambiguo. Scimmiotta Lawrence D’Arabia ma al contempo mantiene le distanze dagli umani che guarda dall’alto al basso, quasi andasse fiero della propria natura diversa, esibendo una freddezza che lo allontana dai romantici androidi di Blade Runner. Privo d’anima e sentimenti in teoria, eppure capace di provare rancore nei confronti degli esseri umani e curiosità e meraviglia per le scoperte sul nuovo pianeta.
Decisamente meno riuscito il personaggio di Charlize Theron, algido capitano ferita nell’intimo per l’indifferenza del padre che le preferisce l’androide, schiacciata metaforicamente e non da una missione in cui non ha mai creduto.
Troppe sbavature in una sceneggiatura a tratti ingenua e inconcludente ridimensionano notevolmente il potenziale del film. Un film che più che indagare la nascita alla fine punta a domandarsi sulla distruzione. Il quesito di Holloway “Perchè ci hanno creato?” alla fine si trasforma in quello ben più amaro della consorte “Perchè volevano distruggerci?”.