Macbeth: la recensione di annagi_

Erano i primi anni del XVII secolo quando il Bardo, il Genio o più comunemente William Shakespeare regalava l’immortalità letteraria al controverso re di Scozia per eccellenza: Macbeth. Oltre 400 anni dopo le opere del Bardo di Stratford continuano ad essere rappresentate nelle più svariate forme artistiche in ogni parte del mondo e quella che è forse la più violenta ed efferata tra le sue tragedie approda nuovamente al cinema nella veste di uno tra i film più attesi e annunciati dell’anno dagli addetti ai lavori. Ma il Macbeth di Justin Kurzel non soddisfa pienamente le aspettative createsi in tutti questi mesi di attesa. Presentato a maggio al festival di Cannes, il film racconta la nota vicenda di Macbeth, generale scozzese al servizio di re Duncan, a cui tre streghe profetizzano la sua ascesa al trono. Spinto dalla brama di potere della moglie che vuole che la profezia si concretizzi ad ogni costo, Macbeth uccide il suo re e piano piano sprofonda nel baratro della follia e dei sensi di colpa, lasciando dietro di sé una scia di sangue, violenza e morte. La storia è potente e affascinante e altro non ci si può aspettare da un dramma di Shakespeare, il quale sempre porta in scena e mette in luce, con una rappresentazione archetipica e primordiale, le debolezze e i punti di forza delle passioni umane.
Ma a questo Macbeth manca quel qualcosa che avrebbe potuto renderlo un grande film. Kurzel coniuga la messa in scena contemporanea e la fedeltà al testo letterario, ma è come se non osasse fino in fondo e la pellicola è un ibrido che non è, per dirla in termini colloquiali, “né carne né pesce” e il risultato finale appare impersonale, freddo e distaccato.
La vera colonna portante dell’intero film è sicuramente Michael Fassbender che dà prova, ancora una volta, di possedere un grande talento attoriale. Nei suoi penetranti occhi azzurri e nella sua fisicità leggiamo tutta l’insicurezza e la follia, la bramosia prima e la delusione poi, che attanagliano l’animo del condottiero scozzese. Il resto del cast non spicca particolarmente mantenendo un livello di recitazione decisamente sottotono, eccezione fatta per Marion Cotillard che veste i panni di una però non molto incisiva Lady Macbeth. Nonostante la buona interpretazione della Cotillard, la Lady Macbeth rappresentata qui ha poco della sua controparte shakespeariana che è il vero motore del dramma. Ed è questa la più grande pecca del film: Lady Macbeth non lascia il segno come dovrebbe.
Merita però una nota positiva la scelta di rendere in modo più intimistico, quasi privato, il rapporto tra Macbeth e le Streghe: un gioco di sguardi, inquadrature e dettagli che fanno della profezia un momento di pathos silenzioso, nonostante il caos della battaglia, che si insinua negli spettatori così come in Macbeth. Altrettanto apprezzabile è la resa della sequenza finale (attenzione SPOILER – ammesso che di spoiler si possa parlare in riferimento a Shakespeare) nella quale è ben esplicitato il futuro di Fleance, figlio di Banquo, destinato ad affrontare Malcom, erede di Duncan, e a diventare a sua volta re di Scozia, dando così forma concreta alla profezia delle Streghe che avevano predetto a Banquo che sarebbe diventato il capostipite di una dinastia di re (ai tempi di Shakespeare si riteneva infatti che Giacomo I di Scozia fosse diretto discendente di Banquo). Il bambino e il giovane uomo si avviano consapevoli verso il proprio destino di gloria e di lotta in una sequenza alternata di forte impatto visivo e simbolico.
Stilisticamente Macbeth alterna nuovamente scelte riuscite ad altre non propriamente felici: il punto di forza è certamente la scenografia scarna ed elegante che ripropone un Medioevo scozzese verosimile e realistico, unita a una scelta di location di grande impatto visivo. A rendere il tutto ancora più maestoso ci pensa l’ottima fotografia che dà il meglio di sé nelle belle inquadrature in campo lungo e lunghissimo così come nei dettagli e negli intensi primi piani. Ma, a tutto ciò si contrappone una controparte stilistica negativa. Nelle prime sequenze di battaglia, Kurzel abusa del rallenty con l’intento di sottolineare lo scontro, ma il risultato è artefatto e un po’ pacchiano. Allo stesso modo la resa dei conti tra Macbeth e i suoi nemici guidati da Macduff è immersa in un background rosso dovuto all’incendio che sta divampando che satura la scena e “stanca” lo spettatore. Il rosso lo ritroviamo anche nei cartelli dei titoli di coda che, scorrendo sui bei paesaggi scozzesi, hanno richiamato alla mente della sottoscritta un qualcosa a metà tra un prodotto tarantiniano e un film western anni ’70. Scelta stilistica particolare che sembra un po’ fuori luogo. Ultima nota dolente è la colonna sonora, martellante e invasiva per la maggior parte della durata del film.
Insomma, questo Macbeth non coinvolge ed anzi tiene lo spettatore a distanza deludendo, come già detto, le aspettative. Ma ormai, come dice la stessa Lady Macbeth “what’s done cannot be undone”, ciò che è fatto è fatto.

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