Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato: la recensione di Matelda Giachi

La critica infuria e grida al fallimento. Neanche gli innumerevoli cinepanettoni, i vari Twilight, per non parlare delle commedie volgarotte pessimamente recitate che vengono sfornate in quantità industriali ogni anno, si sono meritati una stroncatura così feroce e totale.
Allora mi chiedo se essa non fosse già pronta da tempo, perché buttare giù dal piedistallo l’autore di un grande successo crea più audience che complimentarsi con lui un’altra volta.

Da anni attendevo questo film, non come esperta cinematografica o tolkeniana, ma come semplice appassionata di entrambe le cose. Come tale, uno dei soggetti a più grande rischio di delusione.
Peter Jackson però non mi ha delusa, mi ha entusiasmata.

Prescindiamo un attimo dalla storia e dell’idea che Jackson e ognuno di noi si è fatto su di essa. “Lo Hobbit: un viaggio inaspettato” è già un capolavoro di immagini (la fotografia è, ancora una volta, mozzafiato) e di capacità interpretativa.
Parlo di Ian McKellen, che di nuovo veste i panni dello stregone Gandalf, un co – protagonista fenomenale di cui però conoscevamo già l’eccellenza.
Il vero fiore all’occhiello di questo film è Martin Freeman, un Bilbo Baggins di assoluta, totale perfezione. E’ l’unico punto su cui anche i grandi criticoni si sono lasciati andare. La sua bravura, del resto, è tale da essere inattaccabile sotto qualsiasi fronte.
Cito Freeman, ma tutto il cast è degno di nota.
La storia… La storia è quella di un comune hobbit che vive sereno nella sua elegante casetta, che ha una dispensa colma di qualsiasi delizia e fuma erba pipa in giardino privo di preoccupazione alcuna, ma che un giorno si lascia convincere a prendere parte ad una grande avventura. Una scelta che cambierà lui e (lo vedremo solo poi) il destino della Terra di Mezzo, fatto che rende “Lo Hobbit” il prequel de “Il signore degli anelli.”

“Lo Hobbit”, nasce come storia destinata a lettori di 9-10 anni, un pubblico però diverso da quello che era in attesa della sua trasposizione cinematografica. Da qui la necessità di mantenere il tono “leggero” dell’originale, ma allo stesso tempo di renderlo adatto ad un pubblico già maturo. Il regista risolve la questione con in mix di ironia ed epicità. C’è chi si è sentito turbato dall’uno o dall’altro aspetto, personalmente, ho trovato tale connubio assai ben riuscito.

Come nasce una trilogia di circa 10 ore totali da un libro di dimensioni, tutto sommato, modeste? Peter Jackson ha integrato le vicende de “Lo Hobbit” con informazioni prese dall’appendice al Signore degli anelli e da vari altri racconti, aggiungendovi ulteriori idee personali.
Queste aggiunte possono piacere come no; se ne può discutere, in fondo nella testa di ognuno di noi si è formato un immaginario diverso. Tuttavia non le trovo un pretesto sufficiente per demolire la totalità della pellicola.
Personalmente ho molto apprezzato il lavoro di Jackson perché ha approfondito i caratteri dei vari personaggi, colmando i vuoti di un racconto per bambini.
Ma soprattutto, dalla cura dedicata alla propria opera, traspaiono non solo scelte di botteghino, ma anche un grande amore per il proprio operato.

Se per voi 3 ore di film non sono tollerabili, se prediligete un film sul genere “E alla fine arriva Polly” o simili, o se invece non siete minimamente disposti a scendere a compromessi sulla vostra personale lettura di Tolkien, risparmiate 10 euro, che ci sono le tasse da pagare. Altrimenti spogliatevi di ogni pregiudizio ed andate a godervi questo nuovo capolavoro.

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