“Licorice Pizza” (id., 2021) è il nono lungometraggio del regista-sceneggiatore di Los Angeles, Paul Thomas Anderson.
Quando un film ti conquista subito. Dalle prime mosse e inquadrature. Un movimento in avanti seguendo I volti di due ragazzi (Alana e Gary 27 e 15 anni) e I loro discorsi diversi e uguali, diretti e riflessi. Età diversa ma vogliono conoscersi. Lui che cerca lei ma la ragazza è titubante sull’età e di non volersi complicare la vita. Lui insegue il sogno vendendo materassi ad acqua e lei vuole sbarcare il lunario facendo foto ai bambini. Due lavori impossibili da conciliare. Due vetrine vuote che potrebbero riempirsi. Specchio di un’adolescenza cresciuta e di gioventù da inseguire: lì si vuole abbandonarsi al presente/futuro.
Il film di Anderson con un fare guascone e giocoso si riempie da solo e non solo per accumulo di fatti e di minimi episodi. Sembra tutto un gioco: la superficie è ingannevole e ogni cosa rimane con bellezza e suggestione. L’immaginario è visivamente nitido. Una carrellata ripetuta dall’interno verso chi entra in scena è di grande effetto narrativo. Con semplicità disarmante e grandezza usata nel giusto.
Una pellicola artigianale, con ragazzi semi sconosciuti, un’ambientazione accattivante, una musica di gran fascino, dei dialoghi saporiti e inquadrature che rendono il tutto suggestivo e vivo nei ricordi (del regista e anche nostri).
Ecco che un incontro fortuito o quasi, può cambiare il gioco. L’età non è ostacolo ma solo compiutezza di quello che vuoi ottenere. Con coraggio e freschezza giovanile. Un sogno di cinema e di gentilezza estiva dove il ‘tutto’ non è mai finito. Possibile.
Lentamente e con tempi privi di ridondanza, la storia giovanile è invogliante per un giusto modo e persuasivo.
Incontro di riflesso per due ragazzi a cui l’età sembra nasconderci ogni nostro lascito presente.
Caramelle e chewing-gum sono lì tra i denti mentre il palpito narrativo si dimena tra materassi ad acqua e foto per bambini. E’ un sì, tra un dormire evanescente e una foto per un sogno.
Orchidea di sguardi che chiudono e schiudono un film in formazione continua….
Resti e tempi veloci. Tutto in un battibaleno, i discorsi, gli incontri, le vendite, la pubblicità, la musica è quello che scorre davanti a loro. L’età, fresca e pimpante scherza su se stessa e in disincanto (a posteriori) il letto (ad acqua) diventa morbido silenzio dopo cinquanta anni.
Interiore: un film che entra dentro di soppianto come una goccia alla volta. Con piacere.
Casuale, forse tutto casuale: ma che bello rinverdire il cinema con letture e riprese d’epoca.
Epistolare: una storia di messaggi vocali, di chiacchiere volanti e di incontri atemporali.
Pizza: cibo o non cibo; evocazione di luoghi e di vinili in quella California anni settanta.
Licorice (liquirizia)come mito di un’America mista, forse regressa, bassa, guascone e dove ogni segno l’hai già visto e sentito. Siamo nella San Fernando Valley dove qualcosa sta pulsando. E l’immaginario resta, non si ferma (mai a se stante), ma vivo, sogno becero e irreale, in un mercato delle parole utili e inutili e in uno modo di confrontarsi zuccherino e velenoso. Il tragicomico a stelle e strisce è silenzio di strade percorse: in fondo il rumore di acque già ricolme dal loro stesso scorrere. I ragazzi in divenire diventano se stessi, continuamente; cambiano ogni momento il loro nuovo giorno.
Cast:
Alana Haim (Alana Kane) e Cooper Hoffman (Gary Valentine) incarnano bene insieme tutta la storia: generosi, spontanei, veri senza vezzi e per nulla intimoriti dalla macchina da presa.
Musica: Jonny Greenwood (collaboratore del regista da ‘Il petroliere’) di misura e a misura, si racconta il se stesso senza e con le immagini. I pezzi musicali inseriti sono già storia: da David Bowie a Paul McCartney, da Nina Simone ai Doors.
Regia: Paul T. Anderson si gioca la carta del due senza asso e gira da dieci. Una lezione ‘cinema’ semplice ed efficace, lenta e intensa, di carrello e di animo.
Voto: 9 (**** 1/2) -cinema riposto-