Kore’eda Hirokazu ci offre un ritratto familiare interessante ed autentico, sebbene non amarissimo. Non siamo più abituati al cinema pacato, dal tratto quasi gentile, siamo più avvezzi ai guerrafondai, ai contrasti a tinte forti, accompagnati da parole pesanti, che trafiggono come chiodi. Qui si gioca tutto sui primi piani e la bravura di una primadonna eccezionale (Catherine Deneuve), che riempie da sola tutto lo schermo. Fabienne, gloria del cinema francese che ha superato i settanta, affronta la vita con pacatezza quasi glaciale, ostentando sempre calma e un invidiabile self control. I suoi demoni, i suoi conflitti interiori, insieme ai sensi di colpa, li tiene per sè, non ha alcuna intenzione di condividerli. Tanto meno, con chi non capirebbe. In questa pellicola, la vediamo alle prese con una figlia difficile, Lumir (una eccellente Juliette Binoche), esigente e ipercritica, afflitta da un perenne senso di inadeguatezza e dalla mancanza di glamour. Sceneggiatrice tornata a Parigi da New York in occasione della presentazione del libro della madre Le Verità, vive da sempre all’ombra di lei, attrice dalla personalità gigantesca, per la quale nutre un rancore profondo, che sembra impossibile da superare. Eppure, tutto questo non scalfisce l’affetto sincero che lega l’una all’altra, a dispetto delle apparenze. E, dunque, veniamo al punto. Ciò che il film mette in evidenza, oltre alla perenne contraddizione che caratterizza tutto e tutti, è proprio la mancanza di perfezione che contrassegna i rapporti come le persone, e che non possiamo fare a meno di accettare. Ciascuno va preso per quello che è senza avere l’illusone di cambiarlo o trasformarlo in ciò che si vorrebbe. Una madre è pur sempre una madre e va rispettata, anche se un pò narcisista, egoista e dal carattere impossibile, al pari di una figlia, un servitore impreciso oppure un marito. E’ encomiabile Ethan Hawke in questo ruolo così di secondo piano e, allo stesso tempo, così fondamentale. Il suo Hank è un uomo dall’aria mediocre, che non ha avuto fortuna come attore e che ha ceduto al vizio dell’alcool ma che riesce ad essere un padre amorevole e un buon marito, di quelli che stanno sempre un passo indietro, non entrano mai nel merito delle questioni familiari e affrontano ogni giudizio col sorriso. In una parola, un brav’uomo, se non addirittura un grande uomo. Ma anche qui, dov’è la verità? Lo stesso vale per il compagno di Fabienne, Jacques, cuoco non eccelso ma uomo affidabile e paziente, sempre pronto a fare da spalla e a rimediare a tutto. Le Verità è indiscutibilmente un buon film, anche se può risultare un po’ lento e inevitabilmente privo di colpi di scena ma la vita, si sa, non è fatta soltanto e sempre di colpi di scena e la quotidianità è assai meno interessante di un set cinematografico. Quello che conta è andare avanti, in qualche maniera, e ciò che rimane sono solo gli affetti e la capacità di guardarsi dentro con onestà, recuperando magari un pò di gentilezza verso se stessi e verso gli altri.
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