Ladri di Cadaveri – Burke & Hare: la recensione di Aurora

Solo i più adatti sopravvivono: è in questa massima darwiniana che ha il suo fulcro la morale dell’ultimo film di John Landis, per il quale si può dire, parafrasando il sottotitolo italiano di un suo noto film, il mito continua.
La nuova coppia che porta sullo schermo l’ironia del regista e il black humor inglese è quella formata da William Burke e William Hare, maldestri irlandesi che si guadagnano da vivere in modo fraudolento e il più delle volte non riescono nemmeno in quello.
In una Edimburgo di inizio Ottocento, in cui nazionalità e religioni si mescolano, una fede su tutte sovrasta le altre: quella nella scienza e nel progresso, che accende quel periodo illuminato in cui si fronteggiano i due più facoltosi dottori della città: il tradizionalista Monroe e il progressista Knox.
Il sipario si apre e si chiude nella stessa piazza del mercato, con lo stesso cantastorie e con lo stesso show: un’impiccagione, presentata e commentata dal boia stesso, che, con sguardo fisso in camera, ci introduce al tempo, quello dell’illuminismo scozzese, e alla storia della narrazione a cui stiamo per assistere.
L’impiccagione di “Maggie la matta”, la cui assonanza tanto ironicamente ricorda Maggie la gatta, presenta già tutte le caratteristiche principali del film: una vecchia irosa, sporca e sdentata accusata, tra le altre cose, di prostituzione, che guarda in macchina e verso di essa getta “inquietanti” sguardi di provocazione e sputi.
Questi sono gli anni in cui i cadaveri vengono assegnati alle università, ai migliori offerenti che si assicureranno carni fresche per le loro lezioni di anatomia. Una nuova legge, però, decreta che tutti i corpi siano destinati al dottor Monroe, obbligando il dandy dottor Knox a ricorrere ai servigi di due improvvisati fornitori di cadaveri, Burke e Hare.
La coppia di serial killer è prima di tutto, e su tutto, una coppia di soci, di amici squattrinati, che trovano in questa nuova attività un’opportunità di buisness, creata proprio nel momento in cui la richiesta supera l’offerta. Tale necessità viene dal dr. Knox che, in nome della scienza ma ancora di più della propria fama, agogna calamità che possano recargli nuovi corpi da dissezionare e accetta l’omicidio come scorciatoia per averli, per praticare quello studio anatomico che altro non ritiene essere che uno sguardo diretto nella mente di Dio.
In tutto questo fanno fisicamente capolino i due William, accompagnati da un terzo William, Shakespeare, soggetto con il suo Macbeth scelto dalla ragazza di cui si è innamorato Burke, Ginny, decisa a portare sul palcoscenico la tragedia, con un cast tutto al femminile sovvenzionato dallo stesso Burke, adesso nelle condizioni economiche per poterlo fare.
Attraverso goffi tentativi di omicidio, un barile con cadavere inseguito per le strade di Edimburgo, un infarto causato accidentalmente e una carrozza inavvertitamente fatta precipitare in mare, Burke e Hare, con l’ausilio della moglie di quest’ultimo, aiutano gli uomini ad andare incontro al proprio destino di morte, già affibbiato loro al momento della nascita.
La loro goffaggine fa sì che non si riesca a guardare loro come a due serial killer, ma che per loro si parteggi.
Se Macbeth, come lo definisce e giustifica Burke, è l’eroe tragico che uccide per amore, qui ognuno si cala nella parte eroica di colui che uccide per amore, o che sfrutta la morte per la propria gloria, celandosi sotto la maschera del progresso e delle vite che con esso potrà salvare, quando in fondo, sangue e violenza sono affari.
In un film in cui tutto è dissacrato e ridicolizzato, l’omicidio, la scienza e il sesso, ogni cosa sembra trovare qui la sua origine: la fotografia, il soffocamento (burking), il “protettore”, Charles Darwin e, soprattutto, le onoranze funebri.
Sì, perché in una non nuova combinazione tra morte e sesso, proprio alla moglie di Burke nell’impeto dell’eccitazione viene in mente l’idea di sfruttare i morti e le preoccupazioni dei loro congiunti con un nuovo e legittimo buisness: quello delle onoranze funebri.
In un film originale per il suo tempo, in cui al più classico humor inglese viene fornito un cast esemplare interamente britannico, la condizione umana viene presentata in tutta la sua sottile ironia grottesca, quella che segue l’encomio alla scienza del dr. Knox, pronto a offrire ai propri studenti, che applaudono il luminare e il suo show con dissezione multipla, la forma umana in tutta la sua gloria, ed altro non presenta che un cadavere in putrefazione, domicilio di decine di vermi parassiti.
Il film si chiude là dove è iniziato, su un’impiccagione, quella di chi non era destinato a sopravvivere alla selezione naturale.

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