La truffa dei Logan: la recensione di loland10

“La truffa dei Logan” (Logan Lucky, 2017) è il ventinovesimo lungometraggio del regista-produttore di Atlanta Steven Sodebergh
(Presentato al Festival di Roma e distribuito nelle sale (a giugno) dopo sette mesi. Nulla da obiettare ma intanto il film naviga tranquillamente su internet e scaricabile facilmente).
Cinema tipicamente da commedia truce-documento dove ogni gusto per l’incastro, la ‘suspense’, la messa in scena e il colpo da teatro pare perdersi in chiacchiere e cazzeggi, velleità e scherzi miserevoli.
Smosso e scapestrato, il film segue, come un documentario senza un vero set, il graminaceo volto di un’America smorta, spenta, colorata e cambiata. Tutto quello che si ridisegna per una reunion di fratelli e amici per un colpo ‘morale’ (così viene detto) sa di radere la barba alle ultime velleità di un ‘sogno’ perduto per sempre. Il gigionare di ‘Ocean’s eleven’ è finito e i lustrini, le vetrine, i sorrisi, gli ammiccamenti e il denaro sovrappiù sono riposte in un magazzino introvabile: qui il regista si adopera alla migliore causa e con un meccanismo scanzonato, sciatto, leggero e, spudoratamente, grezzo scaraventa il suo Paese verso un reale acerbo, misero e tristemente ridanciano. Un ‘politico’ documento di avvezzi volti presi per la strada e di prime figure che fintamente recitano. Ecco che la pellicola di Sodebergh mescola tutti i personaggi in un tourbillion di macchiettismo greve e leggero con una ‘gran parvenza’ intelligente e furba di presa in gira del ‘sistema a stelle e strisce’. E la bandiera americana che plana prima dell’inizio della gran corsa pare un manifesto aleatorio e disdicevole di quello che è rimasto in un Paese che non riesce a ritrovarsi. E, come volevasi dimostrare senza calcare con evidenza, il trumpismo sgomma in ogni ruota e spaventa le migliaia di spettatori che assiste ad uno spettacolo e si sente solo il silenzo di un sistema in frana.
John Denver e la sua ‘portatemi a casa, strade di campagna’ (‘Take me home, country roads’: ‘…Strade di campagna, portatemi a casa, al luogo a cui appartengo, Virginia occidentale, mamma montagna, portatemi a casa, strade di campagna…’) catapulta il film in una nostalgia retrò e in un senso di appartenenza ‘viscerale’ perso e forse per sempre abbandonato. Il gioco musicale di pezzi da ‘leggenda’ ammaestra ogni situazione e in modo ‘free’ miscela considerazioni sociali, mondo periferico, personaggi squinternati e maestranze sconclusionate senza un pari e patta, ma un groviglio, o speri che sia, dove ogni cosa pare al suo posto. Un Paese e i suoi incontri cosi sciatti e così casuali che liberano fantasia nella maledizione dei Logan e contorni.
Jimmy Logan (e la sua gamba zoppicante) e Clyde Logan (veterano dell’Iraq e senza un braccio) hanno l’idea strana di organizzare una rapina. Una rapina in pieno giorno e con una corsa automobilistica con migliaia di persone. Un qualcosa di impossibile per la sfortuna famigliare dei Logan con tutti i problemi attorno: separazione, licenziamento e prese in giro continue. Ma arrivano l’aiutante Joe Bang (Daniel Craig) e altri brutti tipi che hanno in mente la ‘morale’ anche sulle rapine. Non c’è che dire. Un mondo rurale, di confine, di pochissima considerazione che sa di rivincita in una bandiera a stelle-e-strisce che fagocita ogni pensiero di qualsiasi tipo.
Clyde a Joe: ‘la maledizione dei Logan è vinta’ possiamo brindare al presente. ‘Ma io penso al futuro’ chiosa Joe. Una presa in giro fino alla fine con sguardi e modi scriteriati e spensierati. Il truce diventa bello.
Leggero e sincopato, telefilm soporifero e pasticcio-so, aggrovigliato e sporco, monco e scafato, nulla da un passaggio per una schiettezza viscosa.
Operazione nostalgia di un presente mai visto. Ostentare la povertà , quasi il ribrezzo di una America che ha bisogno di pace.
Geometricamente sconclusionato, persone senza senno, vigore ottuso e carceri inarrivabili. Ognuno protegge se stesso e mai dire che qualcuno possa fuggire. Qui non è mai scappato nessuno, figurarsi poi fare una rapina e rientrare. Ecco che il ruolo che si ha è già difesa di se stesso. La divisa, l’atteggiamento, il fervore, il linguaggio assecondano un paese e una provincia slabbrata, disunita, impolverata e priva di qualsiasi stasi temporale.
Assonnati e tristi, veloci e, quasi, organizzati. Poi fermare una vecchietta per una multa per chi va a 160… miglia è solo normale. Il rifarsi ai vezzi degli attori e Daniel Craig che dallo Bond spericolato e con licenza tutta, passa ad un ridanciano galeotto che non conosce serietà facciale. Una faccia da schiaffi.
Non è un uovo sbattuto ma una storia con visti stracotti. E la chimica spicciola fa aprire il varco mentre le ‘capre’ illuminate sbrodolando a destra a manca riescono ad avere il senno di un finale possibile.
Cast variegato e multi rughe, colorato e spensierato. Dai vicoli spenti de ‘I soliti ignoti’ alle polveri (bagnate) della Virginia. Channing Tatum, Adam River, Daniel Craig e Riley Keough regalano al film e a noi un intrattenimento efficace e persuasivo. Regia (ri)cercata e (con) navigata(ore).
Voto: 7+/10 (***½)

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