La nostra vita: la recensione di Annu83

Definire il nuovo film di Luchetti “eliocentrico” non è poi un azzardo così grande, resterà da decidere se alla fine della pellicola risulterà una cosa positiva oppure negativa.
Certo che i presupposti sono ottimi: si prende il miglior attore italiano in circolazione, si crea una storia in cui lui è il protagonista assoluto, in cui decide lui i ritmi con cui viene scandita la storia, si affida a lui la parte emozionale e quella ironica negando anche la più piccola soddisfazione a un attore del calibro di Bova, e il resto, come si dice, vien da sè.
Nell’eliocentricità di questa pellicola, però, c’è anche una storia importante, che racchiude attimi di quotidianità, spaccati di vita reale, problemi e drammi, misti a soluzioni alterne e palliative, che esistono realmente. E allora la crisi economica del paese si mischia con l’immigrazione, con la giustizia, con le scappatoie per sottrarsi ai doveri e ai dolori, coi problemi di occupazione e con piccole scene di vita familiare.
A ben vedere i problemi sono molti, ma Luchetti offre delle soluzioni, offre attimi di ottimismo, zone di luce, che Muccino, a voler fare il confronto con un altro regista italiano, non offre.
E allora la storia di Claudio parte in discesa, allegro e felice con la madre dei suoi figli, offre battute d’arresto magistralmente interpretate durante l’elaborazione (anche se un po’ tardiva) del lutto, offre accelerazioni e momenti di presunto benessere psico-fisico, fino al momento della svolta (sia positiva o negativa) sempre con la faccia dalle mille sfumature di un Germano in grande forma e giustamente premiato al festival di Cannes con la Palma d’oro.
Come dicevamo, a fare da contropeso allo strapotere di Germano, ci sono tutti gli altri personaggi, marginalmente descritti, abbozzati, estemporanei e molto semplici. Uno su tutti il fratello di Claudio, interpretato dal solito Bova, che per l’occasione si veste di abiti vintage e ricicla facce e espressioni già viste tempi addietro.
La regia vive molto, di conseguenza, dei primi piani del personaggio, che vanno a immortalare le più piccole sfumature sul volto del protagonista (che parrebbe in fase calante nella parte finale del film, dove non si fatica a riconoscere una mera interpretazione di un personaggio, piuttosto che un’immedesimazione completa, come all’inizio), e vive del fatto che la storia sia molto verosimile nel suo essere schietta, cruda e triste.
Insomma, un ottimo film, con una buona storia abbastanza ben descritta (salvo qualche lacuna, ma il tempo forse era tiranno), con buone (Isabella Ragonese, Luca Zingaretti), discrete (Stefania Montorsi, Raoul Bova) e ottime (Elio Germano, Giorgio Colangeli) interpretazioni a far da corollario a una fotografia nitida di un’intera classe sociale.

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