La Moglie del Cuoco: la recensione di Mauro Lanari

Entomologia antropologica d’una nicchia umana così marginalmente borghese (ebbene sì, la “middle class still rules”) che ogn’ulteriore considerazione diventa futile, inutile e innocua quanto il film stesso. Fa forse ridere, è leggero, divertente, frizzante, ludico, simpatico, tenero, sentimentale, malinconico, fragile, delicato, agrodolce, cattivo, pensieroso, drammatico, rassicurante, sviscera la crisi di mezz’età, affronta “il tempo delle seconde chance”, smaschera la falsa complicità femminile, è la risposta francese all’almodovoriano “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” (1988)? Ma può essere tutto questo e chissà quant’altro ancora, poiché tanto il problema risiede nella fascia socioeconomica scelta per l’analisi, con patemi d’animo e sfoghi allergici così angusti da rasentare la vastità egotica e narcisa d’un selfie. Forse all’appello dell’infinite sfumature del vacuo cinematografico e non solo mancava il selfie-movie: adesso che ci siamo arrivati, finalmente è possibile sentirsi un po’ meno felici, contenti e appagati. Ardateme Buñuel, grazie.

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