Joker: la recensione di Mauro Lanari

“Wired” dice ch’è “utile per insegnare ai ggiovani chi sia Travis Bickle”, dice. Ma è così necessario conoscere “Taxi Driver”? E poi questo “Joker” è riducibile a un remake solo di quel film o di “Re per una notte” (“The King of Comedy”, 1983)? Semmai è una carrellata scorsesiana in cui le opere minori sono spesso migliori delle maggiori, e Todd Phillips è abile nell’omaggiare anche le prime, dalle sequenze sulle scale di “New York, New York” (1977) alle ambulanze di “Al di là della vita” (“Bringing Out the Dead”, 1999). È un film che scorre via veloce, il che però è tant’un pregio quant’un difetto: a es. non c’è un serio approfondimento del nesso (bidirezionale?) fra disagio psichico e disagio sociale, un “elogio della follia” più esibito che spiegato, o del problematico inserirsi della soggettività nel warholiano mondo dello spettacolo (e infatt’il seminarista mancato ha dedicato un intero lungometraggio a ognuno di questi aspetti). Insomma si lascia vedere, spesso perfino a suo discapito. E l’invasione di topi l’avrei lasciata al Camus de “La peste” (1947).

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