“Jojo Rabbit” (id., 2019) è il sesto lungometraggio dell’attore, sceneggiatore e regista neozelandese Taika David Waititi (Taika Cohen).
Film salutare e inverecondo, intriso di riso e pieno di vero, scaraventato da un bambino in prima pagina e mandato indietro da un calcio alle idee distorte.
Il Coniglio Jojo apre le danze con il suo amico Fuhrer. Gli sta attorno, un mito, si fida e vuole essere forte. Con il sarcasmo e le vite distorte di un piccolo Chaplin il ragazzino si mette sull’onda della svastica per diventare grande subito.
Naturalmente i grandi sono macchiette e tutto avviene in uno stile fumettistico-surreale dove il colore della fotografia (in ambienti interni e in zuccherosi esterni) sembra pompato e posticcio, sarcastico e festante. Tutto mette in risalto il minimo intellettivo della storia e l’abbaglio vistoso del ragazzino Jojo verso un sogno, un’epopea tronfia e l’amicizia (fintamente vera e dolcemente dispettosa) dei ragazzi in divisa che vogliono superare lo sforzo fisico per rivestire dell’afflato del Sogno con i baffetti.
Tutto estremizzato e corrosivo, in un inizio folgorante e sagace, con scorribande di battute represse e di un popolo che ha la nuvola sopra come l’emblema di una vittoria sicura.
Si deve dire che le piazze rivestite di bandiere con palazzi arditamente lucidi e folgoranti fanno (ir)ridere e nello stesso tempo danno il tempo dei brividi per dei ragazzi ridanciani, con il Coniglio Jojo che vuole aprire le danze, verso una piazza tristemente disadorna, sconquassata e i ruderi che fanno a gara per farsi vedere (e nel pre-finale la carrellata dà il senso dei tempi storici e del cambio di registro del ragazzino che ritrova l’amico tra polveri e battute ‘mi sa tanto che siamo al capolinea’…’la sconfitta è certa’-).
Coniglio non demorde mai e l’attore dodicenne (all’esordio) Roman Griffin Davis ne dà le sembianze con una verve e un piglio davvero da discolo dirompente e da volto navigato nella bufera della storia. Una prova intensa con un volto semplice e vivo, fresco e disarmante.
Lo stesso regista (Taika Waititi) è anche attore nel personaggio di Hitler: goffo e sarcastico con toni da ‘maestro’ verso il ‘Coniglio’, ora leggeri, ora leggiadri, ora misti a segni di nervosismo. Il suo corpo appare acremente acceso e accadicamente intonso. I discorsi-sogni con Jojo sono uno spasso di velleità autorevoli e autoriali; una pomposità allegorica con corse e baldanze da avanspettacolo.
E Scarlett Johansson (la mamma Rosie di Jojo), candidata all’Oscar (come attrice non protagonista) è la terza parte del cast che magnificamente impersona la donna coraggio verso il figlio e la debolezza materna verso una crescita da grande ‘soldato’. Una sensibilità nascosta che va oltre al suo personaggio. E poi il personaggio scomodo rifugiato in casa Beyzler, Elsa (Thomasin McKenzie), una ragazza ebrea che è nascosta e nasconde il suo passato.
‘Ma che cazzo stai facendo?’ dice Adolf al ragazzino Jojo. ‘Fanculo Hitler’ dice Jojo mentre da un calcio (come si vede e in stile fumetti) al suo sogno con i baffi da scaraventare via. Uniche parole volgari che destano il pubblico dal risveglio di un sogno.
Ecco un film in cui l’ironia profonda, la risata ristretta, il sarcasmo da inghiottire, le velleità piatte, l’incanto di un bambino e le storie di una patria sono un excursus di vero godimento e dove il fare storia pare raccontato con arguzia e intelligenza.
Perché Adolf prima vola da solo forte della sua grandezza e comodità dall’alto. E poi viene scaraventato con forza da un calcio nel sedere. Il Fuher avrà anche quattro palle ma i fuochi oramai sono affievoliti….e le bandiere ammainate. È la storia di un bambino che non sa allacciarsi le stringhe delle scarpe…fino ad impararlo a spese sue. Sua madre ci pensa sempre per il suo figliolo….Poi arriva il momento di allacciarle ad altre scarpe
Titoli di testa con i Beatles che aprono lo schermo; canzone finale (‘Heroes’) di David Bowie che schianta l’ironia e la sua storia (scritta quando il muro di Berlino era ancora lì): un sottopasso di grande effetto tra la voce del ‘Duca’ e le movenze delle braccia. Comunque una colonna sonora di grande espressione tra canzoni e score originale di Michael Giacchino.
Prima parte dirompente e invettiva, acuta e di presa in giro; poi un po’ forzata dove il luogo di incontro è quello casalingo dove una madre vuole accudire il figlio di dieci anni e dove uno strano nascondiglio apre le parte a troppe spiegazioni, retorica arguta e sofismi cinematografici.
Regia allegra e irrispettosa, scapestrate e didattica.
Voto: 7/10 (***½) -cinema ficcanaso-