Jackie Brown: la recensione di Eddie Morra

L’umanista capolavoro nello shakeraggio “sciacallante” delle convergenze

Un pallido mormorio che aleggia disinibito, maculandosi prima nelle tenebre e poi nei soffici dondolii dell’anima, quasi a svanirsi, fessure di palpebre mortifere che baciano un alato vento di ricordi, del loro fremente palpito dentro un’anima che prima si smarrì e poi coagulò leggera in altre sognanti levità.
Film che sbucano da una memoria poco memore di sé, seppellita dalla tua arcigna “fronte” di dolori patiti o già esperiti, un fuoco che è baluardo di una cheta, salvifica rimembranza.
Di quando al Cinema Fulgor assaggiavi, cadenzato in ormoni quasi rasserenati, i piedi di una cucciolotta bionda dalle forme surfiste, con anelli madidi di erotismo focoso nella sinuosa dolcezza di gambe affamate del tuo sguardo, che balleranno in passionali amplessi da lupa della sua carne, o si sfameranno di altri occhi indiscreti. Della sua indiavolata “danza” sul divano con calme che, defunte, si lacereranno in un altro desiderio, di libidine o appena smorzato da un pacato borghesismo di una fierezza che ostenti quasi fosse un crepuscolo in cui accudirsi, le pragmatiche rigidità distoniche di un dissolto profumo dal liquore della sua pelle, ora rinsavito in un euforico grido di membrica catarsi.

Tarantino è questo, il sognatore-bambino che ci resuscita nelle sue “favole” a base di “turpiloqui” surreali, di mistici, decadenti oltraggi al pudore, che ci (con)fonde alle omertose barriere emotive in cui ci siamo “collaudati”.

Un Incipit raggiante di spudorato romanticismo. Jackie Brown/Pam Grier “attempata” o che dal Tempo risorge, di profilo, marcatamente erotico, in un adorante piano sequenza (im)mobile di sublime forza evocativa. E poi tutto il resto…

Nella vita c’è un po’ di tutto.
“Scafati” baristi che sorseggiano le loro amarezze in discorsi campati per aria e pigliano “a sberle” le mosche con qualunquistiche “saggezze” sulla delinquenza giovanile, o avventori annoiati nei caffè di coscienze già dormite, o altezzose donne in pose di vanità col falò ardente di tacchi e collants da istantanee erezioni virili o di maschi commenti goliardici.
Donnette fiere dei loro “valori” in solidali ire contro chi ne usurpa le dignità, e stakanovisti lavori “irrimediabilmente” presi dai loro affari o nel gran da fare di amplessi coniugali con una moglie dell'”alta” classe dirigente, anch’Ella “in tiro”, ingessata anche quando è un tutt’uno con gli occhialuti respiri asmatici del suo “amante”. O sciolte in misti giochi scambisti poco mistici.
Io ringiovanisco giovandomene, quasi di nuovo gioviale, dopo un’esistenza che tentennò china all’ammorbante gioco giaculatorio di giudizi frettolosi o estemporanee disanime sulla “purezza” della tua anima, una scarnificata nudità che si ripristina dopo “vaniloqui” alienanti alla porzione allettante di un Te ancora aitante.

E’ un film di un altro Tempo “Jackie Brown”, liberamente adattato da “Rum Punch” di Elmore Leonard, “sospirato” nella fotografia di Guillermo Navarro.
Una valigetta che porta i “suoi” soldi, e dei personaggi che le girano attorno.

Nella vita c’è la presenza urticante di chi, ronzando, ti orbita annusandoti, e la “cupidigia” per un danaro “sporco” che riscatterà una vita “a bocconi” che tutt’ora, quarantenne hostess, boccheggia.

Delle Chick Who Love Guns hai solo l’imbarazzo della scelta, playmates con mitragliatrici in mano con bikini mozzafiato. Ma io opterei per la brunissima, quasi fulva Gloria, nitido orgasmo del mio piacere voyeur.
Venditori d’armi, puttanelle fra Demi Moore ed Helmut Berger forse Rutger Hauer, ex rapinatori di banca “in gamba” (s)fumati, sbirri col ghigno volpino e l’energico piglio di una chiaroscurale malinconia, e agenti delle cauzioni che vanno a vedere il film che inizia prima e dura poco.

Tarantino lascia allibiti i suoi fans modaioli, con un film che indugia in ritmi “acquatici” d’eloquenti silenzi, i silenzi delle penombre e di stanze buie, di cadaveri trucidati senza truculenza, di una violenza fuori campo che detona in qualche “Fuck” necessario, con una protagonista regina della tamarra blaxploitation seventies nostalgica di sé che teme l’età e il suo culo “basso”.
Di un De Niro taciturno che dopo un’eiaculatio precox poco “fregolista” e affatto fragoloso, tossisce mentre pronuncia “E’ stato una bomba”, e poi si sciroppa qualcosa da bere annuendo al Tempo che l’ha scalfito, l’ha scartato.

Siamo tutti uomini col basco “canguro” in un centro commerciale nella fiera delle nostre guerre personali, spiati a vista, con i Delfonics a cantarci “lagrimanti” il ritornello “Didn’t I Blow Your Mind”.

Capolavoro assoluto.

(Stefano Falotico)

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