Il gioiellino: la recensione di Massimiliano Morelli

Andrea Molaioli. Già, uno dei gioielli del nuovo cinema italiano, che ci aveva regalato un esordio bello e premiato come La ragazza del Lago, è uno che dimostra di saper raccontare la provincia. Di entrarci a piedi uniti, tra le maglie seminascoste di un’ Italia che vuol farsi più bella senza le cisti di quella polvere che lascia colpevolmente nascosta sotto il tappeto. Ieri il Friuli, oggi qualcosa che assomiglia a Collecchio, all’ impero marcio di Callisto il grande, per tutti il signor Parmalat. Cinepresa imbottita di cinema verità, e i quadri di nonno Rosi e zio Germi ben piantati sulla parete di fronte. L’ Italia è un paese strano, con tante luci e molte altre ombre. E qualche volta c’è qualcuno che vuole raccontarlo, senza perdere di vista la strada da cui viene, che è sostanzialmente il thriller impegnato. Il Gioiellino, crediamo possa tenersi addosso un abito di mistero, perchè ha i passi e i segreti di una storia torbida, che si muove per colpi di scena, ha thrilling, appunto. Ed è ben confezionata, perchè Remo Girone e l’ennesimo, immenso, Servillo sono gente da grande sartoria cinematografica nazionale. Poco importa che vestano i panni squalliducci di due pelosi avvoltoi ad alto scopo di lucro, spesso e volentieri le facce cattive sono quelle che ricordi di più. Un affresco sul mondo malato della finanza creativa, che ci parla in termini esoterici come tutti quelli che ci rimbalzano dai TG astrusi e però incantevoli, perchè sanno di soldi, di ricchezza, di storie da bere. Già, proprio così, da bere come tutti i sorsi di latte amaro che furono gli anni mai troppo lontani della Leda, la gemellina Molaiolana del colosso Parmalat, fracassatosi sulle sue speculazioni e bugie. E sulle ossa fragili dei contribuenti illusi. C’è tutto in questo film, che procede agevole e acido, più yoghurt che latte, verso un finale già scritto dalla storia. C’è anche tempo per una caratterizzazione dei personaggi che non sia solo prova d’attore, nè tantomeno il riflesso passivo di una faccenda ancora piena di polvere e rancore. Il volto gommoso del Botta di Servillo ha scomodato sin troppi parallelismi con Il Divo di Sorrentino, è qualcuno ha lamentato l’assenza dello stesso coraggio civile. Il bilancio sembra inopportuno, e semmai improprio. La vicenda di Andreotti ha sicuramente dalla sua un ben più radicato e mistico rancore nazionale, e il target di quel film era diverso, narrativamente e stilisticamente. Molaioli si muove in un contesto completamente diverso nella natura storica, che più che storia è ancora cronaca, e ha una libertà di scelte forse più open, che risaltano tutte nella sua opera, cinica e croccante quanto basta. Bella la sceneggiatura, belli ed ironici i colori, buono, se non ottimo il lavoro di camuffamento gentile di fatti e persone . Amaro processetto ad un’ Italia che ignara, si è trincerata per anni dietro il beffardo adagio felliniano del ‘Bevete più latte. Il latte fa bene’.Finchè qualche sorso non è andato di traverso.

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