Il colpevole – The Guilty: la recensione di loland10

“The Guilty. Il Colpevole” (The Guilty, 2018) è il primo lungometraggio del regista di Goteborg Gustav Möller.
Buio, un trillo che continua, una voce, una risposta, un volto.
Una stanza, una attigua e un corridoio, un solo personaggio qualche raro scambio con altri. La voce e il filo dove scorre la tensione, una vita che freme e delle vite che sentiamo e di cui conosciamo nulla o quasi. Da un trascorso passato, a un trascorrere presente e, forse, a un domani che ha dire molto (per molti e per un colpevole). Ma ‘il colpevole’ è in voce e in voce reclama, risponde e domanda. Unica voce difforme è una bambina che sente vicina ogni situazione.
Tutto in ottantacinque minuti.
Asger Holm è un poliziotto degradato dagli avvenimenti; si trova a rispondere all’emergenza del 112 insieme ad altri colleghi oramai lontani dai luoghi reali. La sua vita e il suo passato vanno di pari passo a quello che succede al di fuori. Un intervento in diretta di avvenimenti. Parole e coscienza, una morale sulle cose finché gli avvenimenti soverchiano un destino che sembra disegnato.
Un’asciuttezza di movimenti, di luoghi e viene da dire anche da inquadrature. Un monologo giocato con le voci contrapposte che arrivano, che si nascondono, fiutano la storia e arrivano grondanti sul volto più o meno teso del poliziotto,
Ecco che ‘il colpevole’ appare un titolo che suscita dubbi fin dalle prime battute. Dov’è Il colpevole? Fuori dalla stanza, dentro le voci, nel racconto di un avvenimento o dietro ogni dramma.
In questo snocciolarsi di telefonate e di ansie, si cela sempre un trascorso di ognuno. E anche chi inquadra la storia ne ha uno. Un processo-indagine in diretta: senza frazioni di tempo Asger si trova tra un testimone che aspetta il giorno dopo, una donna che pare impazzita e un uomo che soccorre la narrazione di una famiglia spezzata. C’è da salvare una voce che chiede aiuto. Il movimento a incastro tra filo, ascolto, rumori e sbalzi ossimori di silenzi è accattivante. Una ‘finestra’ sulle emergenze ‘vitali’.
La suspense regge, non sempre alta, una volta che il meccanismo pare chiaro pensi al colpo di scena di quello che succede dall’altra parte che non vedi mai.
La fantasia, l’orrore, il sequestro, gli altri volto non ci sono, scompaiono tra le mani e le labbra in movimento del poliziotto del 112.
Bambina e bambino. Padre e madre. Poliziotto e telefono. Un’autostrada e un viaggio. Controlli e altri controlli. Le telefonate si succedono una dietro l’altra. Le pause sono di numeri, memorie, tic, segreterie e verità che non ci sono.
Un film dove non c’è nulla, solo la voce e la fantasia singola del fuori-campo
Il colpo ‘a sorpresa’ (per così dire) arriva, quasi, fuori onda e prevedibile per lo spettatore (e forse meno) per il poliziotto che suda per la sua incolumità psicologica stando seduto.
Sbagliato il tempo o stringente il modo per un finale doppio tra reale oltre il filo e reale interiore che non sappiamo fino in fondo. Il corso degli avvenimenti corre doppio tra il proprio destino e quello di una bambina che rivuole sua madre. Ecco che tra un fratellino che non senti e una madre che non nomina mai direttamente la figlia, il solco è scavato, come tra un padre e la sua prigione familiare.
Il processo deve iniziare domani e la testimonianza è fondamentale ma Asger…..non trova pace dentro un corpo lacerato da avvenimenti convulsi e da un episodio personale che non lascia scampo al suo stato. La sua vita appesa oltre al filo, una famiglia implosa e interventi che si attendono.
Jakob Cedergren (Asger Holm) regge lo stare da solo in scena con giusta intensità. Un volto che ha qualcosa di ‘polanskiano’ (chi sa se il regista polacco-francese ha visto e apprezzato questo film…).
Regia inerme, attaccata e dietro ogni parola, minimalista e destrutturata (per un trentenne una pellicola che potrebbe indicare un percorso…).
Voto:7+/10 (***½).

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