I ragazzi stanno bene: la recensione di Massimiliano Morelli

C’è chi ha scritto che la normalità altro non è che la media di infinite anormalità. Tutto vero, e potrebbe essere la considerazione che rimpalla negli occhi dopo la visione di questo sfizioso film di Lisa Cholodenko, che tanto successo sta riscuotendo a cavallo di due mondi. Piace alla vecchia Europa lentamente democratica e piace, e tanto, nel suo luogo di nascita, un’ America indie quanto basta per apprezzarne la vocazione mordace e progressista, ma mai militante.
Ci può essere una grammatica degli affetti e dei percorsi familiari che segue piste battute dalla tradizione, anche quando si affaccia su panorami assolutamente fuori dalla convenzione. Sembra questo l’ assunto su cui vibra tutto il delicato divertimento di un’opera brillante, che si straccia di dosso le vesti della solita dedica al tabù omosessualità, per riportarne la radice più sincera e reale.
La Cholodenko, che sul piano biografico personale vive sulla sua pelle i tracciati che racconta in questo The Kids Are All Right, ci regala la prospettiva giusta per non cadere nella trappola di uno scontato trionfo del moderno senza se e senza ma. Gli intrecci del cuore, in una famiglia decoupage, straordinariamente assortita anche dal punto di vista del cast, sono quelli di qualsiasi tetto domestico, e prescindono dalla presunta anormalità dei contenuti.
Il coraggio innovativo, premiato da una bella alchimia attoriale e sorretto da una sceneggiatura fragrante e maliziosetta, sta nell’ averci tirato contro un primo ed interessante affresco live della nuova famiglia da ventunesimo secolo, senza stereotipi forzati. Panta rei, tutto scorre tra le linee di questo quadretto famigliare atipico, e con esso e dentro di esso, si muovono i grandi paradigmi tradizionali, gelosie, tradimenti, rapporti genitori-figli, il passaggio all’età adulta, come se nulla fosse. O come è sempre stato.
Prendere atto che non esistono un amore etero ed uno omosessuale, ma un’ unica possibile coniugazione dello stesso verbo Amare, è già una fine conquista intellettuale, riuscire a scriverci sopra una storia che sia credibile, priva di vizi di forma e stereotipi barricaderi, diventa davvero un passaggio encomiabile.
I ragazzi stanno bene è tutto questo, e vien da sé che a starci bene, anzi molto bene, siano anche i volti che indossano questa storia. La Bening, la Moore, Ruffalo, celebrità ormai acclarate, ma anche i giovani Hutcherson e la sempre più apprezzabile Wasikowska di recente burtoniana memoria, si amalgano tanto bene da illuderci di essere una famiglia per davvero.
Si può fare cinema indipendente anche scrollandosi di dosso la ruggine della militanza ideologica o l’ ossessione del racconto morale da dare in pasto ad una società canonicamente bigotta e omofobicamente presa solo da fast food e superbowl. Questo l’ insegnamento di un nuovo racconto americano, che ha il merito di portarci una storia che rigetta le convenzioni, ma è tanto delicata da sembrarci teneramente una qualunque storia delle nostre vite. Dopo averla vista ed amata, adesso stiamo bene anche noi.

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