Clint Eastwood è un genio. Queste sono le prime parole che mi sono venute dopo aver visto “Gran Torino”. Come fa un uomo a dirigere e recitare per quasi cinquant’anni, con una frequenza di quasi un film all’anno, mantenendo sempre una qualità sopra la media (alcuni suoi film sfiorano la perfezione, come “Million Dollar Baby” e, appunto, “Gran Torino”)? Non credo si troverà mai una risposta a questa domanda, perciò il mio invito è di non pensarci e di godersi lo stato di grazia di cui questo attore/regista gode da mezzo secolo.
Walt Kowalski (Clint Eastwood) è un reduce della guerra di Corea che vive in una periferia urbana americana, quasi totalmente abitata da degli asiatici. Oltre al disprezzo razzista nei confronti di quest’ultimi, Walt non è riuscito ad instaurare una relazione con i figli e i nipoti. Pur tenendosi a distanza dai vicini di casa asiatici, una sera, salvando il giovane Thao da una gang locale, Walt diventa un eroe per tutto il quartiere e la comunità Hmong (popolazione costretta ad emigrare in America come rifugiati politici per aver supportato gli Stati Uniti nella guerra del Vietnam).
Il film affronta magnificamente temi come il razzismo, l’invecchiamento e la solitudine, mostrando un America inedita: non c’è nemmeno una ripresa che mostri gli Stati Uniti nella loro epicità (quanti film hollywoodiani non presentano delle riprese aeree di una città o un monumento americano?), ma viene mostrata solamente l’America di periferia, quella delle gang, dove un ragazzo che non ha abbastanza soldi per frequentare una scuola è destinato alle attività criminali.
Clint Eastwood interpreta divinamente una parte che richiama senz’altro i personaggi che lo resero famoso negli anni sessanta grazie alla collaborazione con Sergio Leone. Inoltre gli va riconosciuto il merito di aver cercato l’autenticità assoluta tanto che, pur d’avere dei veri Hmong nella parte di Thao (Bee Vang) e della sorella Sue (Ahney Her), ha rinunciato alla possibilità di avere degli attori professionisti come co-protagonisti (quante altre star di Hollywood l’avrebbero fatto?).
La scelta coraggiosa del regista/attore è stata brillantemente ripagata dai due giovani attori (qui alla loro prima apparizione sul grande schermo) che offrono una buonissima performance reggendo il confronto con Eastwood.
Insomma, non credo di esagerare nel definire questo film un capolavoro, forse arrivato al momento sbagliato: con questo film Clint dice addio alla recitazione (continuerà a lavorare come regista) e noi, dopo aver visto questo film, vorremo sicuramente gustarci un’altra sua grandissima performance.
Non c’è nient’altro da aggiungere, se non questo: grazie Clint, grazie di tutto.