Gangster Squad dimostra una volta di più una verità semplice: attori, regia, costumi e scenografie, per quanto buone, non sono sufficienti a fare un film.
1949, una squadra speciale del dipartimento di polizia di Los Angeles riceve l’incarico di sabotare i traffici illeciti di Mickey Cohen (Sean Penn col naso finto), gangster-pugile con manie di grandezza («Los Angeles è il mio destino») che fa – letteralmente – a pezzi chiunque si metta sulla sua strada. A capo della squadra ci sono i tenenti John O’Mara (Josh Brolin) e Jerry Wooters (Ryan Gosling), che per giunta è innamorato della pupa del boss (Emma Stone). Da una parte e dall’altra della legge, rimarranno in piedi in pochi.
Si fa fatica a scrivere di Gangster Squad, perché non suggerisce alcun approfondimento, se non la deriva del cinema hollywoodiano, mai stato così impacciato nel confondere marketing e narrazione. In questo caso la ricerca esasperata della coolness, che garantisce splendidi servizi fotografici sui magazine – e in generale rende più facile vendere il film – trascina con se come una slavina qualsiasi tentativo di rendere il racconto realistico, caldo, coinvolgente. Gli attori sembrano manichini ben vestiti, i protagonisti di un catalogo vintage di Banana Republic. La storia è un bignami del genere, inefficace però nel mitizzarne i luoghi comuni. I dialoghi annaspano nelle ingenuità, come se il pubblico fosse ibernato da 30 anni. E il tono tutto della sceneggiatura è incerto tra eccessi da cinecomic e cinefilia tradizionale. Un bel buco nell’acqua, l’equivalente cinematografico di un Rolex cinese: al massimo, una buona imitazione.
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Mi piace
Ryan Gosling, anche imbalsamato in un film come questo, trova il modo di regalare lampi di pura classe attoriale
Non mi piace
Uno dei film più “superficiali” visti di recente
Consigliato a chi
A chi cerca una serata di cinema disimpegnata in compagnia di grandi attori e magnifici scenari
Voto: 2/5
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