Forever Young: la recensione di Valentina Torlaschi

Un mondo dove i nonni sono ormai estinti, i quarantenni si ostinano a fare i dj in mezzo ai teenager mentre le cinquantenni si aggirano di notte come vampire per succhiare la giovinezza a un nuovo toy boy. Gli anni Duemila hanno sancito la scomparsa degli adulti veri e propri, rimpiazzati da “giovani adulti”, “finti giovani”, “giovani per sempre”: ventaglio di etichette per definire una categoria liquida in cui rientrano le persone di 30-40-50-60 anni che non sono anagraficamente più degli adolescenti ma si comportano come tali. E dunque non vogliono stringersi il collo con la cravatta delle responsabilità quanto continuare a divertirsi, vivere alla giornata.
Con un’ironia venata di (moderata) amarezza, Forever Young parla di questo: dell’ossessione del tempo che sfugge di mano, della paura di non poterlo afferrare, ma soprattutto dell’illusione che diventare adulti non sia più obbligatorio. Peccato che tutto ciò generi il caos, ovvero cinquantenni Peter Pan (si veda il personaggio di Fabrizio Bentivoglio, forse il migliore nel calcare sulla sua maschera attoriale il gioco del ridicolo) che convivono con 22enni salvo poi tradirle con delle “vecchie coetanee” e concedersi, massimo della trasgressione, le tagliatelle fatte in casa.

Brizzi firma un instant movie su questi immaturi 2.0, scattando una fotografia in tempo reale del mondo in cui è totalmente immerso, prendendone in giro i protagonisti con uno sguardo sincero, con affetto, e questo perché lui stesso è, alla fine, uno dei finti giovani derisi (sempre con indulgenza ça vas sans dire). Sceneggiato dal regista insieme a Marco Martani e Edoardo Falcone, Forever Young non è un film su commissione, e la spontaneità della storia si percepisce.
Qualche anno fa, Daniele Luchetti aveva detto che uno degli aspetti che lo avevano affascinato di Mio fratello è figlio unico era il fatto che gli anni ’60-70 avevano segnato la nascita dei giovani, una categoria (sociale, culturale, identificata anche in un nuovo modo di vestirsi e parlare) che prima non esisteva perché ci si sposava molto presto, diventando subito adulti. Be’, con le dovute proporzioni possiamo dire che Brizzi ha fatto un po’ lo stesso, fotografando un’ulteriore, nuova, categoria: i suoi finti giovani sono qualcosa di tipico dei nostri anni, un universo umano, una generazione, che prima non esisteva e che è ormai emblema di un cambiamento sociale.

In conclusione, Forever Young è una commedia dal buon ritmo, con una bella colonna sonora dal fascino vintage (lo si evince sin dal titolo che richiama l’immortale brano degli Alphaville, qui riproposto nella cover di Nina Zilli) e con un cast corale ben orchestrato (da Teo Teocoli a Stefano Fresi, da Sabrina Ferilli a Luisa Ranieri, da Lillo a un esilarante cameo di Nino Frassica). Certo non mancano stereotipi e “colpi di scena” telefonati, ma rimane un passabile prodotto d’intrattenimento.

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Mi piace:
La sincerità dal racconto: Brizzi è lui stesso uno dei finti giovani derisi (sempre con indulgenza ça vas sans dire). E poi la vena nostalgica degli anni ’80 evidente soprattutto nella bella colonna sonora.

Non mi piace:
Qualche stereotipo di troppo e qualche “colpo di scena” troppo telefonato.

Consigliato a chi:
Ai giovani, quelli veri e quelli finti. Per ridere un po’ di se stessi.

Voto: 3/5

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