E poi c’è Katherine: la recensione di Mauro Lanari

Cos’abbia da spartire questo film con “Il diavolo veste Prada” non m’è chiaro per nulla. Nell’opera di Frankel del 2006 avveniva un plagio della megera Streep ai danni della biancaneve Hathaway, in questo caso invece ci s’aggira nei paraggi di “Qualcosa è cambiato” (Brooks, 1997), cioè in prossimità con la chimera antropologica che a noi sia concessa una qualche evoluzione caratteriale. Idea balorda finora sempre confutata, ma che il garbo dello script e delle prove attoriali trasforma in una favola in cui per un attimo è confortante credere.

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