Dylan Dog: la recensione di rakug

Mi piacerebbe dire che Dylan Dog sia un film brutto perché si discosta dal fumetto, perché tradisce le tematiche e le atmosfere del suo omonimo di carta e inchiostro, perché sostituisce Londra con New Orleans, Groucho con Marcus e “il Trillo del Diavolo” con “When the Saints Go Marching In”. Mi piacerebbe ma non posso.
Perché Dylan Dog è un film brutto anche senza fare paragoni.
Un soggetto esile accompagnato da una sceneggiatura senza sussulti, fatta di evoluzioni terra-terra e una trama che si dipana nel più classico e prevedibile dei modi. L’azione si fossilizza in una manciata di risse che non sfruttano neanche un minimo di quello che una trama sovrannaturale potrebbe offrire (incantesimi?, maledizioni?, ma no: il Big Bad è solo un picchiatore più abile degli altri), ma che soprattutto vengono tirate per le lunghe facendo quello che una pellicola del genere non dovrebbe mai fare: annoiare il pubblico!
E le risate? Poche, pochissime, e tutte forzatamente addossate a uno dei personaggi più fastidiosi della storia del cinema: il buffo Marcus, l’assurdo Marcus, lo spassoso Marcus!
E poi altro nulla: accenni a un passato drammatico dell’Indagatore dell’Incubo che non riescono ad attirare l’attenzione dei più, un colpo di scena finale intuibile dopo pochi minuti di film (ma forse questa è colpa del pubblico, ormai troppo abituato a plot twist “inaspettati”) e altre piccolezze che indeboliscono ulteriormente una storia già abbastanza fiacca.
Non c’è dunque bisogno di tirare in ballo l’opera di Sclavi & co.: il Dylan Dog di Munroe si fa bocciare benissimo da solo.

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