“Gli specchi e la copula sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini” (Borges, 1940). Parafrasando, direi che le saghe e, più in generale, l’epopea e i miti di fondazione come narrativa ipertrofica che pretende di minimizzare il divario fra mappa e territorio dell’esistenza, ne reduplicano l’abominio, pertanto sono invariabilmente, inesorabilmente, inderogabilmente distopici, collocati che siano in un passato medievale o in un futuro fantascientifico. Io non ho ancora colto l’utilità di tale coazione a ripetere, di sicuro è uno dei miei innumerevoli limiti. Il testo d’Herbert ripropon’il problema e Jodorowsky, Lynch, Villeneuve non sono riusciti a risolverlo: avrebbero potuto? La sufficienza va all’esplicita tragicità dell’inizio, con l’annientamento della casata degl’Atreides. In pochi minuti vediamo sfumare i loro nobili ideali, propositi, progetti, e la scena in cui Oscar Isaac, il Duca Leto, è spogliato di tutto ciò, viene messo letteralmente a nudo e, agonizzante, fallisce pure nell’uccidere il proprio nemico, è qualcosa che porterò dietro e dentro a lungo. Concubina, figlio e prosieguo dei sopravvissuti m’hanno lasciato indifferente.
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