Doppio amore: la recensione di Mauro Lanari

Solo dal 1919 la letteratura sul Doppelgänger è diventata sinonimo di effetto disturbante e di destabilizzazione mentale: da quando Freud pubblicò per l’appunto “Das Unheimliche” (“Il perturbante”). In realtà tal’effetto si presenta esclusivamente nei soggetti con desideri conflittuali inconsci, altrimenti, se i conflitti vengono gestiti in piena coscienza e consapevolezza, l’effetto non si dà. È per questo che le sorelline gemelle di “Shining” mi possono riapparire quanto vogliono e io continuerò a percepirle com’un punto morto nella narrazione. S’è creata una filmografia interminabile sull’argomento, e la mia apatica reazione è rimasta sempre la stessa. Ozon cerca di mescolare le carte oscillando fra lo psichico e il biologico: una sorta di remake d'”Inseparabili” (1988) ma dalla prospettiva de “La mosca” (1986). E io insisto ad annoiarmi, tanto più con un softcore pieno dei nudi dell’androgina Marine Vacht, pessimi per gl’eterosessuali come me (“Well, nobody’s perfect”).

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