Il passaggio di consegne da Iron Man a Doctor Strange non è un semplice transito della fiducia dalla tecnoscienz’alla spiritualità: la spiritualità marvelliana è quella d’un Potter per i millennial (così com’il recente “The Batman” er’un “Twilight” per i 40enni), la magia richiede formule, la mistica esige arti ritualistiche, incantesimi e stregonerie vanno effettuati con ridicole manovre di braccia e mani che non hanno nulla da spartire col pensiero magico nudo e puro. In parallelo, all’esplosione fantasmagorica della messinscena di Raimi corrisponde un miserabile impoverimento delle motivazioni dei personaggi ridotti a uno sputo, stavolta l’intero multiverso è a rischio per una donna incapace di convivere col lutto genitoriale dei suoi due pargoli. E la cosa più terrificante del film è il giudizio conclusivo espresso: “A volte mi fermo a pensare alle mie altre vite. Tuttavia sono riconoscente a questa, anche con le sue tribolazioni.” Credono sempre di salvare il mondo coi loro superpoteri rinunciando a cambiarlo in meglio: la Disney s’oppone all’11a tesi su Feuerbach e divulga distopia.
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- Doctor Strange in the Multiverse of Madness: la recensione di Mauro Lanari
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