Ant-Man: la recensione di aleotto83

Rassicurata da un elenco di futuri film, suddivisi in sequel di sicuro successo ed esordi di nuovi personaggi programmati per gli anni a venire, la seconda fase del “Marvel Cinematic Universe” (MCU) si conclude concedendosi un’opera più contenuta e meno maestosa delle precedenti, centrando però ancora l’obiettivo.
La vicenda di Hank Pym e del suo ignaro successore designato a vestire il costume dell’uomo-formica si inserisce perfettamente nel solco delle avventure degli Avengers in vista di future collaborazioni, ma una volta tanto non è in ballo la salvezza del pianeta, almeno non nell’immediato, e questa assenza di gravosità non dispiace affatto.
Detto questo, nonostante la scelta ironica e non casuale di voler fare un film “più piccolo” parlando dell’eroe che può ridursi alle dimensioni di un insetto, le insidie e i pericoli non mancano: lo scienziato,ormai anziano, che in passato ha scoperto e messo al servizio dello S.H.I.E.L.D. le potenzialità del siero rimpicciolente, si è reso conto dei rischi che esso causerebbe se cadesse nelle mani sbagliate e si è ritirato per anni; ma quando scopre che il suo successore alla guida dell’azienda di famiglia sta studiando l’impiego della miniaturizzazione umana per scopi bellici, il vecchio Pym decide di uscire dal pensionamento, riavvicinarsi alla figlia e cercare un uomo degno di indossare la tuta di Ant-Man a cui affidare la propria missione di salvaguardia.
E la scelta ricade su.. un ladro, ex-galeotto, che stenta a reinserirsi nella società e a cui l’ex moglie ha tolto la possibilità di vedere la figlioletta!
Senza dire altro della trama abbiamo già individuato i due temi centrali di questo film di supereroi: la ricomposizione della famiglia, rappresentata così bene dagli sforzi del personaggio di padre e mentore interpretato da un ancora sorprendente Michael Douglas e l’importanza delle seconde possibilità, come quella che la vita dà a Scott Lang, scassinatore riluttante che intraprende uno spassoso addestramento casereccio per diventare un eroe alto pochi millimetri.
Gli effetti speciali che mostrano il mondo visto attraverso gli occhi di un uomo che si ritrova delle dimensioni di una formica sono vorticosi e più sorprendenti dell’altissimo standard a cui ormai siamo abituati: lo spasso maggiore deriva proprio dal continuo cambio di prospettiva, vedere per credere!
Viene anche ulteriormente confermato il punto di forza di questi film Marvel, cioè l’umorismo sempre presente a stemperare l’assurdità delle situazioni e l’innata simpatia dei personaggi, proprio come il protagonista Paul Rudd, proveniente dalle commedie generazionali di Judd Apatow, ma che sembra trovarsi subito a suo agio come debuttante nell’universo dei supereroi.
A completare il cast troviamo la bella e risoluta Evangeline Lilly, già naufraga di “Lost” e elfo per Peter Jackson nella trilogia de “Lo Hobbit”, il calvo e minaccioso Corey Stoll direttamente da ” House of Cards “, da cui sembra aver imparato bene la lezione di ambizione senza scrupoli di Frank Underwood e una simpatica combriccola di delinquentelli etnici guidata da Michael Peña (“Fury “).
Dietro la macchina da presa avrebbe dovuto esserci Edgar Wright, regista della esilarante “trilogia del Cornetto ” con Simon Pegg e Nick Frost, che ha anche contribuito anche alla sceneggiatura, ma che ha abbandonato per divergenze artistiche con i produttori Disney, troppo concentrati nel controllo dei propri investimenti, lasciando il comando a Peyton Reed, proveniente anch’egli dal mondo della commedia, che ha saputo portare a casa un buon risultato in termini di umanità dei personaggi e ritmo dell’azione, evitando combattimenti estenuanti e mostri feroci.
In definitiva un film riuscito perché sa distinguersi dagli altri e quindi una valida aggiunta all’universo Marvel.
In chiusura di recensione invito gli spettatori a rispettare la tradizione: ricordate di non uscire dalla sala senza aver visto i ben due finali nascosti, che alludono a promettenti sviluppi futuri!

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