Un “noir-rion” (Sanità) con fotografia, scenografia, costumi di prim’ordine. Anche Servillo è ben diretto e sembra recitare invece di portar’in scena la sua maschera. Però a cosa serve un epigono di Frank Miller nel 2019? Igort esordisce alla regia ribadendo alcune sue straordinarie qualità, tuttavia resto convinto che si sia perso fra l’89 e il ’90, quando si mascherò d’artista vulcanico, autore poliedrico e multivalente, mentr’er’un talentuosissimo Calimero cagliaritano in furiosa cerca di sistemazione ancor più e prima che di riconoscimenti o notorietà internazionali. La sua base creativa er’a Bologna, vivev’a Parigi, insegnava Disegno alla scuola d’alta moda di Milano, lì ha collaborato col “linus” d’ODB, ha inciso 3 dischi vergognosi anche solo come parodie. Ma è appunto a Bologna che sforna i suoi capolavori, le tavole per la rivista “Fuego” èdita tra febbraio e luglio 1990. Si può entrare nella storia del fumetto con appena 6 numeri? Lui ci riuscì e meritoriamente, con dei personaggi transumanisti, iperpalestrati fallomorfi grondanti fallimento in desolati campi totali e capaci d’esprimersi giusto col turpiloquio d’Hopper in “Blue Velvet” (1986). Cronenberg e Lynch assieme in ogni singolo disegno, “càzzo càzzo càzzo, lungo martirio alla nuova carne”. Igort sfonda e dal ’91 pubblica per case editrici nipponiche, “Fuego” termina la sua ragion d’essere quale trampolino di lancio e chiude. D’allora il cagliaritano non ha più prodotto nulla di paragonabile, fra rielaborazioni e ristesure impiega circ’un decennio per ultimare “5 è il numero perfetto”, opera di finzione sul camorrista Peppino Lo Cicero che nel 2003 vinc’il premio come libro dell’anno al Frankfurt Bookfair e che col tempo è diventato il suo “graphic novel” più popolare, amato da John Woo, Takashi Miike, Johnnie To. Eppure l’Igort non derivativo bensì d’un’avanguardia estrema e cristallina, visionaria e malata, è altrove, in quella manciata di numeri forse reperibili su eBay.
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- 5 è il numero perfetto: la recensione di Mauro Lanari
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