“1917” (id., 2019) è l’ottavo film del regista-sceneggiatore-produttore britannico Sam Mendes.
Il cinema (ri)disegna dei quadri e fa degli scherzi a tutti. Chi vede la finzione pensa di equipararla al reale e chi vuole raccontare il reale (non visto e sentito) sembra dire di riviverlo in corsa e successione senza tempi morti. Ecco che il cinema di Mendes sviluppa poco il contorno, annienta le pause e scaraventa il tutto in una sequela di andata,
Il tempo parte. In se nei tempi da ripresa. È il 6 aprile del 1917 quando parte il cronometro per il regista. Niente pause, solo attese e presunti silenzi.
Il nemico pare non esercizi mai, anzi il nemico è schivare pallottole e pensare di aiutare quando è in difficoltà (la scena dell’aereo in avaria). Anzi il nemico ti pugnala e vorresti aiutarlo: il gesto mortale è fuor inquadratura. Il sangue e la morte si incontrano. Da un aereo colpito e in caduta libera, inizia il vero film dell’ansia e del tempo che (s)corre sulla testa del film stesso.
6 Aprile 1917. Inizio, giorno mese e anno.
1, un piano sequenza che sembra unico. La maestria fa il resto; lo stacco in nero riesce a far cambiare inquadratura e ricominciare la corsa.
9, la prova de nove per un regista che sa sempre cosa fare; prima il film è dopo la storia o navigare, come un tuffo da piattaforma, dentro il corso della storia.
1, aggiungere uno zero per le candidature ai prossimi Oscar; o l’Academy ha preso un abbaglio o il film è di quelli da studiare, o sono tutti fuori di testa o questo registro britannico, da qualche lustro, la sa veramente lunga.
7, il numero di un ricordo e di un racconto, il numero di una corsa che non si ferma mai fino all’arrivo. Alla chiusura dello schermo pare ancora correre tutto mentre immaginiamo Mandes che esce dallo schermo (‘una rosa purpurea della trincea e di un comando imperioso’) e insegue noi comuni spettatori oltre la sala.
Incipit di avvicinamento in un verde anomalo e un fruscio leggero e tranquillo.
La ripresa si ferma sui volti, poi indietreggia e indica la strada per i due fino ad una trincea dove si parte per un incontro, un comando e una corsa senza pausa.
Dentro una trincea per fuggirne, incontro al nemico che di vede poco, terra di nessuno, colori affumicati, acque putride, cadaveri sotto e per galleggiare, ruderi e stanze impolverate, resti e cenere, fuochi e spari, silenzi e carovane da prendere.
Caporale uno: William caparbio e sfinente, solido e sognante; arriva all’incontro; Caporale due: Tom amico e intenso, forte e solidale; è dentro la corsa dell’altro.
Film in ammanto crepuscolare dove cielo, polvere e freddo sono in carreggiata perenne. Dove ogni gesto di ripresa è dentro il set che scorre al nostro sguardo. Dove i nostri occhi e i nostri corpi sono in sintonia con tutto.
Le sequenze seguono le ombre morenti di commilitoni e due in fuga da un pericolo
Storia: è l’ordine da eseguire, portare un dispaccio importante per bloccare la morte sicura di oltre 1600 ragazzi nell’attacco ai tedeschi che strategicamente si sono ritirati oltre la Linea Hindenburg. I due soldati britannici William e Tom hanno il compito di portare il messaggio: la loro corsa è contro il tempo nel mezzo della terra non amica.
Uso della storia: il regista opera un servizio a se stesso per raccontarla senza quasi mai farla vedere; pochi attimi, qualche gesto, un aereo, fuoco e incendio e la corsa fra l’assalto (una scena di grandissima intensità e girata in grande spolvero registico). La storia pare sospesa tra la tecnica pura e la polvere continua
Simboli: la polvere, il fango, l’acqua, il filo spinato, i cadaveri, le pallottole, la posizione, il buio, lo schermo nero, il topo, il salto, le pietre, l’elmetto e il pugnale. Tutto contribuisce come il cielo consunto e la luce scevra di desiderio come di farsi vedere (e farci vedere), come il manto verde iniziale (‘torneranno i prati’ di Ermanno Olmi è una speranza del dopo ma quasi circolare nella follia di una guerra); poi una ragazza e una neonata che si incontrano sotto la bufera in una città spettrale con un incendio da cardiopalma.
Piano sequenza (idea): il piano sequenza unico non c’è, la struttura sembra unica ma restano degli stacci. Certo i tempi e il tempo non corrispondono alla durata del film. Sarebbe stato un qualcosa di eccezionale.
Corsa folle: è lo spettatore che viene coinvolto appieno, follemente fino alla trincea giusta (tra assalti e polvere ovunque).
Ansia e incontro: l’arrivo e il saluto, il fratello e il tenente Blake, il respiro di una vita e l’emozione repressa. Fine di una corsa e incontro frontale, la camera si muove sempre ma lì il contatto umano è essenziale, statuario e commovente.
Cast: George MacKay (William Schofield) e Dean-Charles Chapman (Tom Blake) sono I due soldati votati alla prova attoriale di grande impegno. Riescono con capacità e forza volitiva; si deve dire che tutte le parti sono convincenti con atti ‘retorici’ quasi dovuti. Si ricordano Mark Strong (capitano Smith), Andrew Scott (tenente Leslie), Colin Firth (generale Erinmore) e Benedict Cumberbatch (colonnello MacKenzie).
Fotografia di Roger Deakins: di grande livello, pare e no solo, inneschi l’ansia del film con chiaroscuri opprimenti, grigi fendenti e bui trapelanti; e il fuoco pare un diversivo distruttivo di ogni riuscita e di ogni folle corsa. Un fuoco che arde dentro al sergente che bon si perde d’animo e ricomincia a macinare passi veloci per arrivare al battaglione giusto….
Musica di Thomas Newman: focale e focosa, silente e viscida, rantolante e angusta.
Regia di Sam Mendes: maniacale, intensa, laterale e attorno, dentro l’elmetto.
Voto: 7½ (***½) -cinema di scontro, persuasivo-