Venezia 74: The Shape of Water è un grande fantasy romantico e… il La La Land di del Toro

Quasi-remake del monster movie del 1954 "Il mostro della laguna nera", il film del regista di Hellboy racconta con tanta nostalgia cinefila la fuga e l’amore tra una addetta alle pulizie della NASA e una misteriosa creatura metà uomo e metà rettile

Il nuovo film di Guillermo Del Toro al Festival di Venezia

The Shape of Water, presentato in concorso durante la seconda giornata del Festival di Venezia, è ispirato a Il mostro della laguna nera, monster movie della Universal del 1954 in cui una spedizione scientifica in Amazzonia scova una creatura metà umana e metà rettile e cerca di catturarla per sottoporla a studi. La creatura non ci sta e rapisce pure la fidanzata di uno degli esploratori, di cui si è invaghita. Nel 2017 e nelle mani di Guillermo del Toro questa storia diventa un fantasy romantico e un omaggio trasversale al cinema degli anni ’50, con un’intonazione nostalgica alla La La Land (clamoroso il déjà-vu nel sogno-musical della protagonista) ma privata del cinismo di Chazelle, anche perché il film è ambientato nell’epoca che omaggia.

Il film aggira le premesse esotiche del capostipite e parte dove la spedizione finirebbe, immaginando il mostro sia stato catturato e depositato in una base dove la NASA fa ricerche per le sue spedizioni spaziali, sperando di sorpassare la concorrenza russa. Qui è affidato alle molto poco amorevoli cure del responsabile della sicurezza Strickland (Michael Shannon) e del suo pungolo elettrico. La creatura attira contemporaneamente l’attenzione di un infiltrato del KGB (Michael Stuhlbarg, sempre pazzesco) e di Elisa (Sally Hawkins), una addetta alle pulizie che vive sopra una grande sala cinematografica assieme a un illustratore e amico che vive alla porta accanto (Richard Jenkins), ed è muta fin da bambina a causa di un incidente che le è costato le corde vocali. Assieme si alleeranno per liberare il mostro.

Il film è abbastanza esattamente il punto di incontro tra il suo originale e Il favoloso mondo di Amelie: una storia d’amore eccentrica, piena di bigiotteria cinefila, appassionata e inventiva, e composta dentro un quadro di genere mobile – horror, noir, spy story – dove ciascun registro è approssimato al suo corrispettivo anni ’50 e poi spinto fuor di misura, nel senso che tutto – lo splatter, la sessualità, il linguaggio – sorpassa di gran lunga i limiti di censura del tempo.

Tra i film di Del Toro potrebbe apparire un’operazione minore, d’ispirazione incerta, e invece è uno splendido romance d’autore, cioè composto nei termini della sua sensibilità per il cinema fantastico, con il piacere di impressionare, di costruire piccoli scandali e cortocircuiti nella visione. Forse paradossalmente, diventa così anche il suo film più esplicito e vigoroso, potente e preciso nella costruzione delle immagini e dei caratteri. Un Del Toro “burtonizzato”, che arriva dove Burton non mette più piede da secoli.

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