L’investigatore privato Fletcher (Hugh Grant) s’intrufola nella casa del gangster Raymond Smith (Charlie Hunnam) per raccontargli come il cliente che l’ha assoldato, il re dei tabloid Big Dave, abbia voluto vendicarsi del suo capo, il più importante trafficante di droga d’Inghilterra, l’americano Mickey Pearson (Matthew McConaughey).
Sono i personaggi principali di The Gentlemen, l’ultimo film di Guy Ritchie (ora disponibile su Amazon Prime Video): una smagliante e divertente prova di forza narrativa, alla maniera ruspante e disimpegnata cui il regista ci ha abituato dai tempi dei suoi più grandi successi, Lock & Stock e Snatch. La sua nuova fatica propone un turbinio di tradimenti e rivelazioni in cui c’è di tutto: un trafficante cinese, un miliardario russo ed ex spia del KGB, uno strambo gangster di quartiere a capo di una gang di rapper e lottatori.
C’è però, soprattutto, quell’approccio al mondo dei gangster londinesi e alla criminalità che Ritchie ha attraversato ed esplorato, in passato, in lungo e in largo. Con gusto post-tarantiniano, nella caratterizzazione dei personaggi e nei dialoghi: un tocco che fino a due decenni fa poteva ancora essere modaiolo e che oggi, invece, è solo più o meno piacevolmente anacronistico, soprattutto considerando che Ritchie non ha mai badato al peso teorico dei suoi bozzetti, preferendo la pura e semplice evasione, magari iper-cinetica, ma sempre senza pretese.
Col passare del tempo, dunque, il suo cinema è diventato sempre più privo di peso, eppure The Gentlemen diverte e intrattiene senza inventarsi nulla di nuovo e con un intreccio collaudato, di puro e solido mestiere. Ci sono fiumi di parole che celano doppie o triple piste (e non si tratta solo di mistificazioni a fini loschi), frasi arroganti e provocatorie, secondo cui il traffico di droga servirebbe a rimanere indipendenti dal consumo, e riferimenti cinefili: alcuni letterali, come quello fuori dai denti a La conversazione, il film che Coppola girò tra la prima e la seconda parte de Il padrino e che qui viene bollato come “noioso”, e altri più auto-referenziali (Ritchie, ad esempio, fa un cameo nei panni di un produttore cinematografico, nel cui studio è possibile scorgere la locandina di Operazione U.N.C.L.E., suo film del 2015).
Rispetto alle mille traversie hollywoodiane a grosso budget di Ritchie, come lo Sherlock Holmes con Robert Downey jr. e il più recente live action disneyano di Aladdin (passando per parentesi perfino assai meno memorabili), in The Gentlemen c’è una piacevole aria di casa e meno pressioni; la consapevolezza di un artigianato granitico che, ben consapevole di aver fatto il suo tempo, può permettersi il lusso di gigioneggiare in permesso premio, badando al basta che funzioni e a poco altro. Tutto ciò che è forbito, dagli scambi di battute agli abiti finemente intarsiati dall’alta sartoria britannica, è in realtà un mero pretesto per rimettere in moto la vecchia giostra: un valzer di ossessioni grossolane in cui la droga è la misura un po’ ridicola di ogni eccesso, di qualsivoglia sbruffoneria e prevaricazione sociale. Tutt’altro che una fuga dalla realtà, o un’evasione autolesionista, quanto piuttosto la cartina da tornasole di tanto opportunismo.
La caratterizzazione dei personaggi, così, rimane l’avamposto più giocoso e libero nel quale sporcarsi le mani. E infatti i personaggi di Matthew McConaughey, spacciatore di marijuana dai tempi del liceo e ora a capo di un impero criminale, Colin Farrell, Charlie Hunnam e soprattutto di un camuffato Hugh Grant, il più bravo di tutti nei panni di un investigatore privato omosessuale, mellifluo e sgradevole eppure irresistibile, sono tutti lì a dimostrarlo (e il prezzo del biglietto lo valgono tutto). That’s Entertainment, cantano anche i The Jam sui titoli di coda.
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