Non era facile, per Star Wars – Gli ultimi Jedi, proseguire il percorso iniziato da J.J. Abrams con Il risveglio della Forza, che due anni fa aveva inaugurato la nuova trilogia di Guerre stellari azzerando il coefficiente di rischio e consegnando, allo spettatore di nuova generazione così come all’adepto di lunga data, un mito ricalcolato in maniera millimetrica. Per non scontentare nessuno.
Non era semplice, soprattutto, farlo in maniera spaventosamente audace, cercando di portar avanti il destino della Resistenza e della lotta dei ribelli contro il Primo Ordine attraverso sentieri spaziali non altrettanto lisci e rassicuranti. Eppure Rian Johnson, il regista scelto dalla LucasFilm per Episodio VIII, c’è riuscito eccome.
Forse non in maniera del tutto risolta, ma la Forza (con la “f” maiuscola) della sua visione è lodevole, destinata forse a scontentare molti fan duri e puri della saga per la sprezzante assenza di sacralità, ma anche così coraggiosa da far saltare il banco, da stimolare e avvincere ricorrendo a un’epica tutta propria e in parte nuova, mai solenne e imbalsamata ma viva, pulsante, giovane nel senso più alto (e rischioso) del termine. Il concetto di pathos in tal senso non è mortificato, ma rimesso in discussione attraverso un curioso gusto per la leggerezza e la demistificazione.
Le vicende di Rey e Luke Skywalker, di Kylo Ren e Poe Dameron, di Finn e Leia Organa (l’ultima volta della compianta Carrie Fisher), oltre naturalmente a un personaggio che si aggiunge e altri risvolti imprevedibili e non rivelabili, sono sviluppate con una passione contagiosa, allo stesso tempo infantile e ombrosa, per l’universo creato da Lucas. Riportato sullo schermo con una maturità che non rinnega l’ironia e la cartoonesca vena pop del padre di Guerre stellari, ma la inserisce in una cornice più contemporanea, sovraccarica di sfumature gravose, dubbi oscuri, incertezze fatali.
Episodio VIII è infatti a tutti gli effetti un blockbuster di oggi, con tutto il suo corredo di scompensi e lungaggini, immaturità gigione e compiacimenti discutibili, ma anche intrattenimento millennial nella forma più stimolante e densa che si possa immaginare. Un film dove la nozione di “ultimi Jedi” evocata dal titolo è uno spettro costante, dove si riflette in maniera sfaccettata e problematica sull’eredità di una Forza che è più che mai un’oscillazione impazzita e smarrita tra Bene e Male, tra Lato Oscuro e lato chiaro di un’energia indomabile.
Questa titubanza carica di smarrimento, a tratti perfino stordente ma attraversata in questo da una costante aura di commozione, sembra essere il cuore pulsante di questa nuova trilogia di Guerre Stellari. Ci viene ribadito a più riprese, ma Rian Johnson ha il merito di gettare questo cuore oltre l’ostacolo, di fare di Rey e Kylo Ren due personaggi più che mai scolpiti nelle loro sospensioni, in dei chiaroscuri struggenti che riportano tutto alla domanda più radicale e inevitabile: cosa si vuole davvero essere, chi si vuole davvero amare.
È in particolare lo sviluppo del personaggio di Adam Driver, uno degli interpreti più importanti della sua generazione, a sorprendere in positivo e a lasciare di stucco: vuoi per la bravura di un attore che in troppi avevano liquidato come miscasting in Episodio VII e qui emerge in tutta la sua efficacia, vuoi per l’accuratezza stratificata della sua parabola da villain sempre più ferito, primordiale, impulsivo.
Il modello de L’impero colpisce ancora nell’impianto generale è perfettamente e specularmente visibile, sulla falsariga di quanto fatto da Abrams con Una nuova speranza ne Il risveglio della Forza, ma Johnson dal canto suo non è mai rassicurante nemmeno rispetto al modello di partenza, sterza e sbanda come nella più avventata manovra di Dameron a bordo del suo X-Wing, svicola dal risaputo e da ciò che ci si aspetterebbe. Per inseguire uno stupore mai banale, anche a costo di farsi scivolare il volante tra le mani, in un’overdose di strozzate d’occhio, spolverate di spalle sornione, colpi di scena a effetto.
Il mito originario, così come la Forza, in parte ne escono snaturati, ma è una metamorfosi che probabilmente li ringiovanisce, che di sicuro li avvicina alle nostre aggrovigliate imperfezioni fatte di opposti inconciliabili e irrisolvibili, irreversibili e inestricabili. Quanto basta per far sì che un nuovo sole continui a sorgere nella galassia lontana lontana. Luminoso come sempre.
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