Spiderhead: la recensione del film Netflix con Chris Hemsworth e Miles Teller

Il film diretto da Joseph Kosinski, reduce da Top Gun: Maverick, arriverà in streaming da domani, 17 giugno

Spiderhead
PANORAMICA
Regia (1.5)
Sceneggiatura (1.5)
Interpretazioni (1.5)
Fotografia (2)
Montaggio (2)
Colonna sonora (1.5)

In un futuro prossimo, nel quale ai detenuti è concesso fare del volontariato prestandosi come soggetti medici per vedere la loro pena ridotta, due carcerati (Miles Teller e Jurnee Smollett) accettano di sottoporsi al trattamento speciale del dottor Steven Abnesti (Chris Hemsworth), scienziato che inietta loro dei farmaci che ne alterano le menti, con l’obiettivo sperimentale di migliorare l’umanità epurandola da crimini e traumi.

Gli effetti cambiano da persona a persona, ma il più delle volte sembrano avere conseguenze benefiche sugli individui testati. Fino a quando uno dei detenuti non inizia a dubitare dello scopo di tali farmaci; attraverso il loro utilizzo, infatti, il dottor Abnesti ha il totale controllo delle attività cerebrali dei detenuti e questo fa sì che possa manipolarli a proprio piacimento, al fine di raggiungere determinati risultati.

Tratto dal racconto Escape From Spiderhead di George Saunders, pubblicato sul prestigioso The New Yorker, e girato da Joseph Kosinski subito dopo Top Gun: Maverick (il loro debutto in quasi contemporanea è dovuto ai tanti rinvii causa pandemia del blockbuster con Tom Cruise), Spiderhead è un rivedibile pasticcio di toni e registri, dalla sci-fi esistenziale al prison movie, e una di quelle operazioni che cercano di instillare nello spettatore la convinzione (tutta da dimostrare) che la distopia a tinte forti e un soggetto high concept bastino da soli a salvare la baracca (la sceneggiatura reca la firma della coppia di Deadpool 2, Rhett Reese e Paul Wernick).

La credibilità luciferina e perversa del personaggio di Hemsworth è davvero ai minimi termini e Teller, reduce anche lui da Maverick e con un vistoso taglio sulla faccia, non fa certo meglio. Non mancano nemmeno le battute scult, per quanto educative («Pensa se potessimo distruggere tutte le sigarette del mondo. Tutti amerebbero, sarebbero amati e capaci di amare»), ma ciò che desta maggiore perplessità è il pretestuoso e invadente impianto morale di fondo, che solo nel finale ha l’onestà di gettare alle ortiche ogni parabola romantica di redenzione per abbracciare una delirante playlist di slanci pulp.

Foto: Grande Electric, The New York Studios

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