Per la prima volta nella storia cinematografica di Spider-Man, il nostro amichevole eroe di quartiere è stato smascherato e non riesce più a separare la sua vita privata dall’impegno derivante dall’essere un supereroe. Quando chiede aiuto a Doctor Strange la posta in gioco diventa ancora più pericolosa, forzandolo a scoprire cosa significa davvero essere Spider-Man.
Spider-Man: No Way Home si ricollega direttamente al film precedente della trilogia su Peter Parker con Tom Holland, Spider-Man: Far From Home, e alla sua scioccante rivelazione finale, ma il 27esimo cinecomic del Marvel Cinematic Universe è fin da subito molto di più che il racconto delle conseguenze dinamitarde di quell’evento: un ambiziosissimo bilancio dell’intero corpus di opere cinematografiche su Spider-Man dell’ultimo ventennio, un epilogo spettacolare che fa da chiusa, ma anche da trampolino di lancio ideale, per nuove avventure sull’Uomo Ragno.
All’inizio della storia non solo Peter ma anche la fidanzata MJ (Zendaya) e il miglior amico Ned (Jacob Batalon) non vengono ammessi al M.I.T. per il semplice fatto di essere le persone più vicine a Spider-Man, a riprova di quanto la notorietà planetaria sia per il protagonista un grattacapo gigantesco: un grande potere da cui non derivano soltanto grandi responsabilità ma anche pesi enormi, pronti a gravare sul suo privato e ad amplificare come non mai la doppiezza dolente tra il supereroe e il ragazzo, tra l’icona e l’uomo creati nel 1962 da Stan Lee e Steve Ditko.
Coerentemente con quanto fatto dai suoi precedenti capitoli, il film diretto da Jon Watts rinuncia in massima parte al senso della fisicità e delle spettacolari evoluzioni aeree con ragnatele della trilogia di Sam Raimi, così spudoratamente attento alla dimensione “newyorkese” di Spider-Man. Preferisce ancora una volta un’idea di azione ironica, pirotecnica e coinvolgente al servizio di quello che è a conti fatti l’Endgame di Spider-Man ma anche, e in misura a tratti estremamente struggente, il cinecomic-nostalgia definitivo per i fan del personaggio, presi per mano e accompagnati all’interno di una ricapitolazione totale di ciò che Spidey rappresenta come creazione letteraria oltre che fumettistica, come simbolo per il pubblico di ieri e di oggi e come archetipo tout court, con una dose non indifferente di strizzate d’occhio a ciò che ci si è lasciati alle spalle e inevitabili rimpianti.
Accanto alle ambizioni e alla potenza dell’apparato da blockbuster, decisamente smagliante, c’è infatti la portata sterminata del Multiverso e delle sue implicazioni più scivolose e dolorose, riconducibili soprattutto a un fluire continuo e inarrestabile di supercattivi che tornano alla carica per rendere la situazione ancora più caotica e affastellata di quanto già non fosse per Peter. Con gusto umanista e un monito didattico perfettamente integrato e nient’affatto banale, pur negli standard dei messaggi ecumenici delle major di oggi, Spider-Man: No Way Home illustra soprattutto, accanto ai tormenti del giovane Parker, la necessità di curare la cattiveria e i mali del mondo per non avere rimpianti e scrollarsi di dosso tossine private e dubbi laceranti sempre in agguato, pronti a trasformare la vita di chiunque, anche quello di una controversa celebrity pubblica, in un deserto di macerie. La forma più egoistica, ma in definitiva anche quella più virtuosa, di egoismo immaginabile, per rimettere a posto frammenti impazziti del passato e sanare vecchie e nuove ferite.
Spider-Man: No Way Home è un film dall’architettura complessa e dall’andamento narrativo ovviamente pachidermico, con gli sceneggiatori Chris McKenna e Erik Sommers chiamati a una grande opera di equilibrismo e bilanciamento tra mille varchi e altrettante pulsioni centrifughe della storia, eppure tutto si tiene. Non solo traghettando, dopo i due film della Sony, lo Spider-Man di Holland nel futuro del MCU, ma anche mostrandoci una via elaborata al popcorn movie supereroistico in cui il luna park delle invenzioni visive, gag comprese, e le mille giostre dello storytelling possono perfettamente convivere con bilanci esistenziali e spensieratezza dura e pura, a uso e consumo di un martellante fan service e dei sempre graditi inside joke per gli appassionati. In tal senso in No Way Home c’è probabilmente lo Strange di Benedict Cumberbatch più sornione e divertito di sempre, articolato e sviluppato interamente attraverso i dialoghi intergenerazionali e sferzanti con Peter.
Un ultimo ma sostanziale aspetto da considerare è infine la maniera in cui il film capitalizza la dimensione forse più riuscita dei tre lungometraggi firmati da Watts, quella del teen movie: le interazioni tra i personaggi sono a questo proposito perfettamente bilanciate e pimpanti e a svettare è soprattutto il cupo e vitale cinismo da generazione Z della MJ di Zendaya, il cui ammaccato disincanto non cancella mai, arricchendolo di sfumature verosimili e contemporanee, il senso di ebbrezza, curiosità, accudimento e avventura alla base della sua love story con Peter Parker, mai così struggente eppure miracolosamente attenta a evitare ogni trappola smielata.
Foto: Marvel Studios, Columbia Pictures, Pascal Pictures
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