Memoria: la recensione del film di Apichatpong Weerasethakul 
con Tilda Swinton

Il nuovo film del cineasta thailandese, Premio della Giuria al 74º Festival di Cannes, è in sala in alcuni cinema selezionati dal 16 giugno distribuito da Academy Two in collaborazione con MUBI, dove approderà prossimamente

Memoria
PANORAMICA
Regia (3.5)
Sceneggiatura (2)
Interpretazioni (2.5)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3)
Colonna sonora (3.5)
Jessica (Tilda Swinton) è una botanica in viaggio a Bogotà, in Colombia, dalla Scozia, per far visita alla sorella. Durante il suo soggiorno, sprofondata nella natura sudamericana, viene svegliata nella notte da un boato assordante. Un rumore che si ripresenterà anche durante il giorno e di cui Jessica prova a trovare l’origine. Nella sua ricerca incontrerà l’archeologa Agnés che si trova a Bogotà per studiare alcuni resti umani, vecchi di 6000 anni, rinvenuti durante lo scavo per un tunnel in costruzione sotto le Ande e si imbatterà in Hernàn, un pescatore che vive nel cuore della foresta amazzonica che le svelerà l’origine degli strani rumori che la tormentano.
 

Esordio in lingua inglese per il cineasta thailandese Apichatpong Weerasethakul, tra i più celebri autori del Sud-est asiatico e vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2010 per Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti, Memoria è forse il massimo punto di non ritorno dello stile estremo, contemplativo e rarefatto dell’autore, che stavolta abbandona quasi del tutto ogni appiglio narrativo in favore di un’orchestrazione ininterrotta di suoni e sensazioni, il cui potere evocativo sembra pre-esistere, quasi come confinato in un regno primordiale e ancestrale di alberi e ruscelli, all’esercizio stesso e qui quantomai sterile della parola.

Tilda Swinton, anche produttrice esecutiva dell’operazione, si cala totalmente nel meccanismo radicale e intransigente sul quale si regge la regia, muovendosi dentro il film in qualità di sound designer di rumori sordi e senza nome (in particolare un boato, particolarmente risonante, misterioso e destabilizzante, in grado di far rizzare i peli sulla nuca a chiunque lo ascolti, spettatori in primis). Il risultato, nelle sue tante inquadrature simili a tableaux vivants e a quadri fissi dal montaggio interno, coniuga uno stupore da cinema delle origini e un futurismo silente e assorto quasi post-cinematografico, in cui il racconto per immagini pare essere confluito direttamente in un regime da installazione video-artistica e museale.

Il titolo, Memoria, non è solo perfettamente raccordato al taglio malinconico di tutta l’opera, ma è anche il salvacondotto ideale per guidare lo spettatore alla ricerca del senso (e di un senso), suggerendogli l’esigenza di lavorare su ciò che resta di immagini e suoni in quanto tracce archeologiche residuali di un’umanità in via d’estinzione, pronta a essere soppiantata da elementi alieni (in improbabile quanto concretissima e tangibile CGI) già pronti a planare.

Foto: Kick the Machine, Burning, Anna Sanders Films, Match Factory Productions, Piano, Xstream Pictures, iQiyi

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